«Necessario per le istituzioni e per me stesso rassegnare le dimissioni», ha scritto l’ex ministro. Dopo un’imbarazzante difesa, il ripensamento. Immediata la nomina del successore Giuli
Troppo forti le pressioni, troppo insistente l’assedio intorno a Gennaro Sangiuliano. Nella mattina del 6 settembre Giorgia Meloni si è convinta che la posizione del ministro della Cultura fosse diventata impossibile da difendere. Le dimissioni erano diventate l’unica opzione praticabile.
Lo stillicidio stava andando avanti e sarebbe proseguito, storia dopo storia su Instagram e dichiarazioni su dichiarazioni sulla stampa da parte di Maria Rosaria Boccia, l’imprenditrice di Pompei, “non consulente” del Mic. Alla fine, seppure in ritardo, Sangiuliano ha annunciato il passo indietro, ringraziando la presidente del Consiglio per averlo «difeso».
La lettera alla premier
Il giornalista ha comunicato la sua decisione con una lettera inviata alla presidente del Consiglio. «Ritengo necessario per le istituzioni e per me stesso rassegnare le dimissioni», ha scritto, rivendicando comunque il lavoro svolto al Collegio Romano in questi due anni.
«Questo lavoro non può essere macchiato e soprattutto fermato da questioni di gossip», ha aggiunto, promettendo battaglia in tribunale: «Ho bisogno di avere le mani libere per agire in tutte le sedi legali contro chi mi ha procurato questo danno, a cominciare da un imminente esposto alla procura della Repubblica, che intendo presentare».
Infine, si è rifugiato nell’ombra del complotto: «Andrò fino in fondo per verificare se alla vicenda abbiano concorso interessi diversi e agirò contro chi ha pubblicato fake news in questi giorni».
Le prime ore della giornata di ieri, in realtà, sono servite solo a preparare il terreno per la nomina del sostituto, Alessandro Giuli, giornalista e direttore del MAXXI a Roma, e a limare la comunicazione del passo indietro. Doveva apparire una decisione dell’ex direttore del Tg2 per un’uscita di scena meno dolorosa possibile. «Ho accettato le dimissioni irrevocabili», ha dichiarato in una nota Meloni, definendolo «capace e onesto».
Quindi la promessa per il futuro: «Proseguirà l’azione di rilancio della cultura nazionale, consolidando quella discontinuità rispetto al passato che gli italiani ci hanno chiesto e che abbiamo avviato dal nostro insediamento ad oggi». Lo sforzo sull’egemonia culturale da sfilare alla sinistra cambia intestatario, ma resta ancora nella mente della destra meloniana.
Il ripensamento a palazzo Chigi era inevitabile, anzi aveva sorpreso il disperato arroccamento. Nell’inner circle della premier hanno provato strade alternative, magari per distogliere l’attenzione della vicenda.
Ma gli strateghi di Meloni hanno preso atto che non stava funzionando la narrazione che evocava il complotto, una specialità della casa di Fratelli d’Italia.
La comunicazione di Boccia, tra social e media tradizionali, ha oscurato la contronarrazione governativa, ridicolizzandola.
Pentimento meloniano
Meloni, secondo quanto trapelato, aveva peraltro manifestato dei dubbi sull’aver confermato la fiducia a Sangiuliano nel corso del colloquio di martedì durato oltre un’ora e mezzo.
Se avesse optato per la richiesta di dimissioni a inizio settimana, avrebbe risparmiato lo spettacolo deprimente dei giorni successivi, inclusa l’intervista al Tg1, che ha provocato danni all’immagine dell’esecutivo, anche al di fuori dei confini nazionali.
Era palese che la vicenda sarebbe cresciuta ulteriormente con una serie di incognite. E allora perché Meloni aveva scelto la linea della resistenza, facendosi trascinare nel baratro? Ha prevalso la chiusura nel fortino, l’idea di non cedere alle richieste dell’opinione pubblica e l’ossessione di evitare i rimpasti. «Ha promesso di voler chiudere la legislatura senza nuovi giuramenti al Quirinale, non vuole nemmeno pensare a un governo Meloni II», evidenziano fonti a lei vicine.
D’altra parte, nei ragionamenti de fedelissimi della premier è stato evidenziato un elemento che ha convinto a rompere gli indugi: la sostituzione di un ministro, peraltro in tempi velocissimi, non avrebbe richiesto passaggi complicati o possibili rimpasti. Anzi. Così è stato completato il blitz che ha portato Giuli al Collegio Romano, rifuggendo dal balletto sul toto-nomi.
Insomma, l’accenno di resistenza e di reazione di Sangiuliano è andato a infrangersi contro l’annuncio della nuova intervista di Maria Rosaria Boccia, questa volta a In Onda su La7. «Ho votato convintamente Giorgia Meloni, e il ministro (ex, ndr) Sangiuliano lo sa benissimo. La stimo, è una donna in gamba», ha detto l’imprenditrice dando un tocco di surrealismo alla vicenda.
Intanto, intorno alle spese del Mic sta per accendersi il faro della Corte dei conti. «Avrò la possibilità di chiarire tutto e dimostrare che non sono stati spesi fondi pubblici né un euro del ministero è stato utilizzato per viaggi e trasferimenti della signora Maria Rosaria Boccia», è stata la prima replica del ministro della Cultura.
Nel primo pomeriggio di ieri, comunque, l’ormai ex ministro aveva mandato in avanscoperta i legali. «Stiamo verificando una per una le dichiarazioni della dottoressa Boccia per renderci conto se c’è una violazione della riservatezza», ha spiegato Silverio Sica, che difende Sangiuliano e che ha allontanato le ombre su possibili conversazioni compromettenti: «Abbiamo esaminato dettagliatamente tutte le chat del ministro e non c’è niente oltre al fatto strettamente privato».
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