Circola un video con un profluvio di male parole di Matteo Renzi all’indirizzo del Pd. Tutte relativamente recenti. Effettivamente fa molta impressione. Del Pd si dicono le peggiori cose, se ne pronostica l’estinzione, una sorte infausta cui Renzi dichiara di applicarsi lui stesso facendone la missione sua personale e della sua Italia viva.

Dunque, ci sarebbero cento e una ragioni per diffidare della recente, estemporanea giravolta di un uomo che si è meritato abbondantemente la nomea dello scorpione. E tuttavia penso che Elly Schlein faccia bene a non derogare, neanche con riguardo a Renzi, alla sua linea «testardamente unitaria», alla sua massima secondo cui «non pone, né accetta veti» pregiudiziali verso chicchessia.

È escluso chi si esclude

Era il motto dell’Ulivo: è escluso (pregiudizialmente) solo chi si esclude. Una linea ispirata a pazienza, coraggio e soprattutto coerenza, che Schlein si può permettere in ragione della sua attuale condizione di forza.

Infatti è reduce da vittorie niente affatto scontate e singolarmente difficili che hanno spiazzato tanti osservatori sulle prime scettici se non ostili: il voto europeo, preceduto dal successo delle primarie contro ogni previsione e a dispetto di larga parte della nomenclatura Pd oggi bon gré mal gré allineata, dopo avere riposizionato e riaccreditato il partito proprio a seguito del deragliamento operato da Renzi.

Dunque, quella della segretaria Pd, è una posizione di forza in genere, ma tanto più nei confronti del leader di Iv. Non solo per la smisurata distanza nei consensi tra i due partiti (20 a 2), ma per una preminente ragione politica di natura strategica: la sua azione si inscrive nella prospettiva di un centrosinistra organico alternativo al centrodestra nel quadro della stabilizzazione del bipolarismo nel quale non c’è posto per velleità terzoforziste. Un orizzonte strategico nel quale Renzi, pur tanto ciarliero ed esuberante mediatamente, sarebbe ammesso come buon ultimo da sconfitto.

Magnanimi ed esigenti

Ecco perché gli si può fare un’apertura condizionata ma senza sconti. Appunto magnanimi ed esigenti, come s’ha da fare con i perdenti. Esigenti non solo, come usa giustamente osservare, sul piano programmatico – a cominciare dal dossier riforme costituzionali della destra da contrastare senza più ambiguità – e della politica delle alleanze (che egli esca dalla giunta di Genova e, a seguire, dalle altre di destra, è il minimo sindacale), ma anche nel dare prova di una concezione e di una pratica della politica incompatibile con il disinvolto business personale, con i servigi resi ai bin Salman. Una vergogna che non si può tollerare.

Il test della partecipazione di Renzi alla festa dell’Unità di Pesaro senza contestazioni è l'ennesima quasi commovente testimonianza dello spirito unitario e del senso di sopportazione ascetica del popolo democratico, ma non se ne deve abusare.

Ancor prima dei programmi, tra i principi non negoziabili, per dirla con la formula che fu del cardinal Camillo Ruini, stanno la dignità della politica, la disciplina e l’onore ex articolo 54 della Costituzione.

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