- Confronto tesissimo: per la prima volta la segretaria ascolta il dissenso aperto dei riformisti Guerini: «La questione Ucraina è dirimente». Cuperlo: «Non considerare gli altri zavorra». Alla fine la minoranza vota solo il dispositivo con le iniziative, non la relazione.
- Anche fra i sostenitori della leader c’è qualcosa che non va. Provenzano: ««No ai caminetti, ma serve un metodo: dobbiamo trovare luoghi dove maturino democraticamente le decisioni».
- Esplodono differenze anche sulla giustizia. Il sindaco di Bergamo Giorgio Gori cita Enzo Tortora fra gli applausi, dice sì all’abolizione dell’abuso di ufficio. E sull’alleanza con M5s: ineluttabile per gli uni, di fatto impraticabile per gli altri
«Le cose che abbiamo in comune sono 4850, ma anziché mobilitarci su queste si alimenta il filone letterario delle divisioni Pd». Elly Schlein apre la direzione Pd, rimandata due volte – per la coincidenza con la morte di Silvio Berlusconi, e quella con il funerale di Flavia Franzoni, la moglie di Prodi, a cui la platea tributa un applauso – e prova a convincere i suoi con una citazione pop, un pezzo di Daniele Silvestri che chiede alla fidanzata «cos’altro ti serve per essere certa che l’unione fra noi non sarebbe perfetta?». Perfetta non è, se la segretaria deve rompere quello che vive come un accerchiamento: le critiche per la sconfitta alle comunali, per la linea incerta sull’Ucraina, per la presenza al corteo M5s trasformatasi in una trappola mediatica. «Vi chiedo di non farci trascinare dove ci vogliono i nostri avversari», insiste, «La gente è stufa dei dibattiti autoreferenziali, che nemmeno segue, perché diventano rumore indistinto», stavolta la citazione è di Diodato («fai rumore qui/E non lo so se mi fa bene»). Fa anche una terza citazione, più conciliante, Niccolò Fabi: «Tra la partenza e il traguardo, in mezzo c’è tutto il resto (...), giorno dopo giorno silenziosamente costruire».
I riformisti gliele cantano
Ma i riformisti non hanno voglia di canzonette. Anche perché nei retroscena si comincia a parlare di una loro fuoriuscita, descritta come auspicata dalla segretaria. Attacca il presidente Stefano Bonaccini: «Nessuno pensi che indebolendo Elly il Pd diventi più forte», «ma alla segretaria dico che se gestione unitaria deve essere si discuta di più. Un partito non è un movimento». Il più severo è Alessandro Alfieri, che in segreteria è il responsabile del Pnrr, ed in genere è il più dialogante: «Noi riformisti abbiamo fondato il Pd. Mettetevi il cuore in pace. Hic manebimus. Quanto all’optime lavoriamoci. Il Pd è plurale o non è». Pina Picierno aggiunge un carico: «Sostenerti, Elly, non significa non proferire parola per evitare l’accusa di lesa maestà o di paternalismo o sessismo, ma aiutarti a elaborare una linea condivisa». Quanto all’Ucraina, Picierno risponde a Peppe Provenzano, che poco prima ha detto che la linea non cambia «ma noi dobbiamo dire più forte la parola pace». Ecco, per Picierno quel «ma» non va: «Sostenere l’Ucraina è la pace». Ed è una questione «dirimente» per Lorenzo Guerini, ex ministro della Difesa ora presidente del Copasir: «Indecenti le parole che ho sentito nella piazza M5s», il tema non si può «sterilizzare» sull’altare delle alleanze. La scelta di andare a quella manifestazione, ingenua o no («ma l’ingenuità non è una virtù neanche nel Vangelo») richiedeva «un dibattito». Nessuno vuole «azzoppare la segretaria», ma «chi guida una comunità deve stare attento agli strappi». Guerini si rivolge anche a Renzi, che si chiede che fine faranno i riformisti del Pd: «Non so che fine faremo, certo non ci alleeremo con la destra».
Per la prima volta il Pd parla
Loro non se ne andranno, giurano, lei neanche, e avverte: «Mettetevi comodi, siamo qui per restare e fare quello che ci hanno chiesto le primarie». La difendono Pierfrancesco Majorino, Marina Sereni. Provenzano anche, ma le dice: «No ai caminetti, ma serve un metodo: dobbiamo trovare luoghi dove maturino democraticamente le decisioni». Ed è la prima volta da anni che nel Pd si rompe l’unanimismo e si parla fuori dai denti. Gianni Cuperlo: «Per scalare una montagna, meglio in cordata, e chi è dietro non è una zavorra». Matteo Orfini: «La segretaria del Pd si fidi del Pd, che è un partito complicato e plurale e quindi va diretto con la fatica della direzione politica. Ma il Pd si fidi della segretaria».
Esplodono differenze anche sulla giustizia. Il sindaco di Bergamo Giorgio Gori cita Enzo Tortora fra gli applausi, dice sì all’abolizione dell’abuso di ufficio. E sull’alleanza con M5s: ineluttabile per gli uni, di fatto impraticabile per gli altri. La notizia non è che il Pd è diviso, si sapeva, ma che se lo dice in chiaro, sebbene a porte chiuse.
Un’estate militante
Nell’introduzione Schlein aveva proposto «un’estate militante», mobilitazioni sui territori su sette temi: attuazione del Pnrr, autonomia differenziata (il 14 e 15 luglio a Napoli), sanità pubblica, diritto all’abitare, lavoro («da qui alla fine dell’anno voglio vedere fiorire i circoli del Pd sui luoghi di lavoro»); politiche industriali («il 6 luglio presentiamo le nostre proposte»); emergenza climatica. I riformisti sono d’accordo solo su questa parte della relazione, e alla fine solo questa votano, un dispositivo che viene chiamato «documento di sintesi». Per evitare di votare no alla relazione della segretaria: «Perché non tagliamo il ramo su cui siamo seduti», dice Bonaccini. Ma è la prima volta da tempo che la relazione di un segretario non viene approvata nel suo complesso. Ed è un segnale per Schlein, forte e chiaro.
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