Pubblichiamo di seguito un estratto di “L’imprevista – Un’altra visione di futuro” (Feltrinelli). Un dialogo tra Elly Schlein e la giornalista dell’Espresso, Susanna Turco, in cui la segretaria del Pd si racconta per la prima volta. Il libro, in libreria dal 10 settembre, verrà presentato lo stesso giorno alle 19, a Roma, all’interno di Notti di Cinema a piazza Vittorio Emanuele II (apertura dalle 18.30, in caso di pioggia l’incontro si terrà alla Libreria Feltrinelli, via Appia Nuova 427)


Un argomento ricorrente: Elly Schlein parla solo di diritti civili.

«È un argomento infondato e ha un retrogusto omofobo, a volte inconsapevolmente: su cosa si basa? Io sono sempre stata schierata per i diritti Lgbtqia+, ho sempre fatto le battaglie insieme alle associazioni, alle comunità, sono andata ai Pride, ma nella mia vita istituzionale e politica mi occupavo prevalentemente di altri temi per commissioni e deleghe assegnate. Nel parlamento europeo mi occupavo di immigrazione, evasione fiscale, trasparenza, anticorruzione, Agenda 2030, sviluppo. Da vicepresidente dell’Emilia-Romagna non avevo la delega sulla parità, mi occupavo di welfare, giovani, casa, nidi, patto per il clima. Ma se parlo cento volte di salario minimo ci fanno al massimo il titolo di un articolo, mentre se parlo di cannabis legale ci aprono la prima pagina dei giornali di destra. È quello il lavoro che fa la destra: per non dire ai poveri che li vuole più poveri, dice che li abbiamo impoveriti noi di sinistra perché in realtà ci occupiamo solo di globalismo, radical chic, diritti delle minoranze, migranti a tutto spiano e famiglie gay. Il problema ulteriore è quando questi argomenti li interiorizza anche la sinistra. Nel mio caso specifico, temo che dire che mi occupo esclusivamente di diritti civili non sia dovuto a battaglie in cui mi sono contraddistinta, ma al mio orientamento sessuale. Perché io ho tenuto sempre insieme diritti civili e diritti sociali. Questo è il tema. Del resto viviamo in una società patriarcale, che è imbevuta di questi pregiudizi, che la nostra cultura in parte diffonde e tramanda».

Che effetto fa tutto questo?

«Mi motiva di più a fare le battaglie che stiamo facendo, perché quelle sì che sono ideologie contro le persone, contro le libertà, contro i diritti e l’uguaglianza. Penso che quando ci battiamo per il diritto di accesso alla sanità pubblica, abbiamo un approccio universalistico, che parte sempre dalla considerazione dell’eguaglianza. E non è una concezione di eguaglianza che neghi le differenze, ma che mette a valore le differenze assicurando a tutti uguali diritti e opportunità di partenza. Oggi uguali non lo sono. Ma, pur all’interno di un mondo che tende a forti polarizzazioni, vedo una grossa consapevolezza della società in Italia, che è largamente favorevole al matrimonio egualitario, alle adozioni, al riconoscimento dei diritti dei figli e delle figlie delle coppie omogenitoriali. Eppure la politica è in enorme ritardo, hanno fatto di più i giudici e le sentenze, questo è uno dei motivi che maggiormente ha allontanato le persone, soprattutto i giovani, dalla politica. Quando noi facevamo quelle battaglie è stata affossata la legge Zan, che è una legge di civiltà ma anche un minimo sindacale: cioè dire che come non puoi essere discriminato per il tuo orientamento religioso, così non puoi essere discriminato per il tuo orientamento sessuale o la tua identità di genere. Sembra banale, ma la destra ha votato no e ha riso in modo sguaiato, applaudendo, quando l’ha affossata. C’è stata una timidezza della sinistra sui temi identitari, che di nuovo è frutto dell’essere stata subalterna alla narrazione della destra. Visto che la destra ti accusa di occuparti di migranti e di diritti, tu non te ne occupi e anzi corri dietro alla destra facendo cose brillanti come non mettere la fiducia sullo ius soli o sulla stepchild adoption.

Tutto questo ha contribuito a uno smarrimento di identità del Pd e del centrosinistra, quindi a una emorragia di voti e di persone che non si sono più riconosciute in quello che si stava facendo. L’elemento identitario è forte, è importante, e la destra lo sa: punta esclusivamente su quello, ormai. Non hanno una visione, si rifugiano in una identità che racconta di poterti ridare una sicurezza che è venuta meno nella tua vita. Ma non ti dice: “Ti aiuto con la pensione”, anzi te la taglia; oppure: “Ti aiuto con le liste d’attesa”, anzi te le allunga. Tagliano sanità e sociale, precarizzano il lavoro, però piantano bandierine: l’identità nazionale, la difesa della famiglia tradizionale, la difesa del confine dallo straniero invasore, contro il rave, tutte tematiche identitarie e propagandistiche che non risolvono i problemi delle persone. Perché la sinistra ha rinunciato ai suoi temi identitari? Perché ha subìto la retorica della destra, anziché capire che il nostro elettorato si aspettava da noi che a quella visione di odio, muri, intolleranza, rispondessimo con una visione altra, in grado di riaccendere la speranza, ma anche una identità valoriale forte, che non fosse ambigua, titubante o ammiccante con quella della destra».

Nel 2008, alla sua prima prova, il Pd aveva raccolto poco più di dodici milioni di voti. Nel 2022 ne ha presi cinque e mezzo. Molti si sono dispersi negli altri partiti, ma ancora più pesante è stata la scissione invisibile dell’astensionismo, che alle europee del 2024 per la prima volta in un’elezione nazionale ha superato il 50 per cento. Nonostante questo, il Pd ha riconquistato 250.000 elettori in Italia rispetto alle politiche del 2022. Un buon inizio.

«Sicuramente c’è da lavorare per recuperare la rottura con i nostri mondi di riferimento. Il mondo del lavoro non si è più riconosciuto in un Pd che portava avanti politiche di precarizzazione. E bisogna lavorare su quello che c’era ancora prima di questa stagione di riforme: l’antipolitica, il populismo per cui sono tutti uguali, tutti corrotti, quindi che vado a votare a fare. Un fenomeno che deriva dai nodi ancora irrisolti di Tangentopoli. Dopo il 1992-1993 ha preso piede la personalizzazione, l’uomo ricco che ce l’ha fatta, che ha già i soldi e quindi “non può avere interessi”, Silvio Berlusconi. Le persone ci credevano davvero, è un pensiero legittimo, ma poi si è dimostrato completamente sbagliato nei fatti. Il Movimento 5 stelle è nato anche sugli errori fatti dal centrosinistra: non aver fatto la legge sul conflitto di interessi, non aver mai abbracciato con convinzione la battaglia della trasparenza e dell’ambiente. Ma non c’è stata una elaborazione che restituisse slancio e dignità all’idea dei partiti. I partiti sono entrati in crisi».

Si deve ripartire dai partiti?

«Quando funzionano bene – e servirebbe una legge sui partiti – sono una comunità che lavora insieme per il bene comune, che mette in rapporto chi sta sul territorio con chi lavora nelle istituzioni. Non uno solo, non un partito guidato da uno solo può cambiare il paese, ma una collettività che fa leva sulla intelligenza diffusa, sulla rappresentanza della società. Non ricostruisci soltanto parlando con maggiore credibilità di salario minimo e sanità pubblica, ma valorizzando le migliori competenze che hai già e aprendo a volti nuovi. Significa anche aprire porte e finestre alle giovani generazioni, l’età media di chi fa politica è troppo alta e le donne sono sottorappresentate, le persone con background diversi sono troppo poche, nelle nostre scuole ci sono tanti ragazzi e ragazze di seconda generazione, ma la composizione delle scuole non corrisponde alle assemblee di partito.

Bisogna ridare credibilità ai partiti. Dei partiti ha bisogno la democrazia. In Italia ci sono troppi partiti personali. È una scorciatoia che non mi ha mai tentata. Un’idea non può viaggiare soltanto sulle spalle di una persona, deve viaggiare sulle spalle di una collettività che la porta avanti insieme: i partiti sono uno strumento della democrazia, uno strumento per far valere i diritti delle persone, per far vivere un’idea di paese».


© Riproduzione riservata