«Il Pd si batte per il salario minimo», se c’è chi non si sente a casa «l’indirizzo era sbagliato». La segretaria replica a Bonaccini. La tregua interna vacilla: «Gli addii non sono un problema?»
Sul palco della Festa del Fatto Quotidiano alla Casa del Jazz di Roma, alla domanda su come pensa di «gestire» il pluralismo del suo partito, cioè il dissenso, Elly Schlein la prende alla larga, ricapitola i temi dell’«estate militante» che ha proposto – in qualche caso “imposto” – ai suoi.
Ma da venerdì ci sono trenta fuoriusciti in Liguria, si sono trasferiti ad Azione denunciando «una netta svolta a sinistra» del Pd: e stavolta non sono scelte solitarie come le precedenti (il senatore Enrico Borghi, il consigliere regionale del Lazio Alessio D’Amato), stavolta è un esodo organizzato ancorché locale. Fra l’altro un esodo anche di voti, visto il peso elettorale del capofila dei transfughi, il consigliere regionale Pippo Rossetti (arrivato al terzo mandato, quindi al capolinea) e della consigliera comunale Cristina Lodi, la più votata a Genova. Quindi la segretaria viene invitata ad essere più concreta.
Per una volta lo fa, ed è severissima: «È sempre un dispiacere quando qualcuno decide di andare via. Dopodiché se noi ci rendiamo conto che qualcuno che possa non sentirsi a casa in un Pd che si batte per il salario minimo, per la scuola, per l’ambiente, per i diritti, per il lavoro di qualità, allora forse l’indirizzo era sbagliato prima».
La risposta a Bonaccini
È la prima volta che Schlein è così esplicita. In realtà risponde alle parole, pacate ma ferme, che il presidente Stefano Bonaccini ha consegnato a Domani sui fuoriusciti: «Rispetto le scelte di tutti ma non condivido», ci ha detto in un’intervista, ma «è essenziale che il Pd recuperi rapidamente la propria vocazione maggioritaria: abbiamo bisogno di un partito più grande ed espansivo che punti a tornare al governo, non di un partito più piccolo e radicale. Credo che Elly sia la prima a doversi e volersi far carico di questo».
È così? La segretaria vuole «farsi carico» del ritorno alla “vocazione maggioritaria”, formula contesa e ad alto rischio di equivoco, o vuole imprimere al Pd una direzione nuova, più di sinistra («una vocazione minoritaria» secondo i detrattori); e quindi ha messo nel conto qualche addio dall’area più moderata?
I riformisti del Pd fin qui avevano messo la sordina alle polemiche. Nelle loro intenzioni il fioretto deve durare fino alle europee del giugno 2024. Si sono concessi poche e composte eccezioni: sulla spesa per le armi (la segretaria vuole rallentare il raggiungimento del 2 per cento del Pil), su un vagheggiato referendum per cancellare il jobs act (la segretaria ha detto sì alla Cgil, ma non c’è alcun testo). Quasi solo Lorenzo Guerini ha segnato un limite, gli impegni già presi dal Pd in parlamento. Alla fuoriuscita dei trenta, da quest’area è arrivato giusto un ovvio «invito a riflettere», a non «ignorare il disagio». Fino al voto per Bruxelles nessun sabotaggio della segretaria, né vero né presunto. Anche per non fornire alibi.
Invece stavolta è la segretaria ad attaccare quelli che non si mettono in scia con il «cambiamento» che, dice, «incontra sempre resistenze», «se il Pd avesse fatto tutto bene in questi anni, una come me non avrebbe mai vinto il congresso». È vero. Ma è vero anche che fra gli iscritti i “renitenti” al cambiamento erano il 53 per cento. Poi il voto dei gazebo ha ribaltato il risultato.
Eppure dall’area di Schlein assicurano che la base sta cambiando: «Mi sono fatto dare i dati dal responsabile organizzazione Igor Taruffi», ha detto alla festa di Modena Stefano Vaccari, che di Taruffi è il predecessore. «Dal giorno di apertura del tesseramento, 30mila nuove tessere di cui 15 mila mai visti prima». Insomma il nuovo Pd avanza. E per la segretaria quelli che non sono d’accordo, in sostanza, hanno dato un indirizzo fallimentare al vecchio Pd.
Tra i riformisti stavolta c’è qualcosa più che le parole di rito, «malumore» e «disagio». Un dirigente anonimo riepiloga all’agenzia Adnkronos: «Delle due, l’una: o Schlein non ha capito che sta succedendo nel partito e nei territori, oppure ci vuole buttare fuori». Un altro dirigente di peso spiega a Domani, con amarezza: «Nessuno vuole sovvertire il risultato delle primarie. E nessuno voleva fare polemica sul caso ligure. Ma se la gente che se ne va non è un problema, non so che aggiungere».
Chiarimento o silenzio
Ma fin qui era considerato troppo presto per un «chiarimento» interno, che pure qualche voce chiede alla prossima direzione. Meglio aspettare le europee, la laurea elettorale, dove la segretaria deve provare a fare un risultato pieno: cioè non al di sotto del 22,7 che fu di Nicola Zingaretti (che però poteva contare sui voti dei renziani e dei calendiani, viene fatto notare).
Fra l’altro l’ex segretario, già grande elettore di Schlein, è stato al centro di un caso spiacevole: secondo il Foglio, dopo essere sceso dal palco della festa dell’Unità di Ravenna, ha confidato ad alcuni presenti che pensa il contrario delle magnifiche sorti e progressive di cui aveva parlato al microfono: «Con Schlein alle europee non prendiamo neanche il 17 per cento». La smentita è arrivata il giorno dopo, alla festa di Modena: «Penso l’opposto di quello che è stato scritto. Penso che Elly stia ricostruendo le condizioni per una grande vittoria, sta riportando a noi un popolo che del Pd non voleva più sentire parlare. Ma è una battaglia ancora tutta da fare, non dobbiamo andare alle elezioni fischiettando e con le mani in tasca».
Le parole attribuite all’ex segretario sono un falso da archiviare o un altro segnale di malessere? L’area Energia popolare, il correntone guidato da Bonaccini, prepara un’assemblea. Ma anche fra i sostenitori di Schlein qualcosa si muove. Il prossimo 22 settembre a Iseo, in provincia di Brescia, un’iniziativa dei nuovi ulivisti (ex lettiani) sarà l’occasione per discutere di un nuovo correntone: franceschiniani, ulivisti, personalità sparse pro segretaria. Che però intendono contare un po’ di più: anche di qua ormai il problema è la scarsa condivisione delle scelte del nuovo Pd.
Ieri intanto la consegna del silenzio è stata quasi completamente rispettata. Un’autoimposizione, dal lato riformista. Solo Piero Fassino, ultimo segretario Ds, si concede un consiglio da vecchio saggio: «Voglio sperare che le parole di Elly Schlein siano andate al di là dei suoi reali convincimenti», «Ci si rallegra di chi arriva, non di chi parte». Anche dal lato Schlein si evitano commenti. I suoi più vicini si sarebbero attaccati al telefono e avrebbero chiesto a tanti di non «dichiarare» sul tema. Non sempre con le buone, viene riferito.
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