«Stavolta Conte ha il coltello dalla parte del manico e non ha paura di usarlo». Il commento è di chi conosce bene il Movimento e ha seguito da vicino lo scambio di messaggi al veleno tra Beppe Grillo e Giuseppe Conte. Da un lato il fondatore, che nel rivolgersi agli attivisti ha lanciato una minaccia neanche tanto velata ai vertici attuali del Movimento. Dall’altro l’ex premier, che ha risposto con una mossa astuta dal punto di vista comunicativo: look sportivo, sfondo bucolico e via con l’elenco delle deroghe decise da Grillo stesso. A seguire, la promessa che il tempo dei caminetti è finito.

«Non possiamo ammettere che quando queste decisioni sono prese da due, tre, quattro, cinque persone va tutto bene e non va bene quando invece è la comunità degli iscritti, nell'ambito di un processo costituente così coinvolgente e coraggioso e rivoluzionario» ha detto Conte nel videomessaggio registrato per lanciare la costituente in programma per ottobre. Insomma, Grillo più che da garante coscienzioso che dà consigli saggi ai suoi seguaci rischia di passare per il padre-padrone che non accetta l’evoluzione della sua creatura.

Spalle al muro

Ma forse non c’era neanche bisogno dell’affondo, stavolta. «Beppe dentro il partito è già morto» arriva a dire qualcuno dei meno diplomatici. Oltre a non avere più armi tecniche da utilizzare a proprio favore, infatti, Grillo si è giocato definitivamente il suo seguito: per alcuni è consapevole della sua condizione e cercherà di trovare una mediazione, altri vedono all’orizzonte lo scontro totale. Chi ancora manteneva un rapporto erano soprattutto i sopravvissuti della prima generazione, usciti dal parlamento ma rimasti nell’orbita del partito di Conte, come Roberto Fico, Paola Taverna e Vito Crimi.

Dopo la conferma del “no” alla deroga al limite dei due mandati, però, il fondatore ha perso anche le ultime simpatie. Anche perché a risolvere il loro impasse potrebbe pensare proprio l’ex premier, che con la vecchia guardia non sempre ha avuto rapporti idilliaci. Quel che si sussurra in queste ore in via di Campo Marzio, infatti, è che Conte potrebbe proporgli un compromesso e concedere a chi ha completato i due mandati di correre comunque per le elezioni regionali.

«La botte piena e la moglie ubriaca: così fa felici Fico e Buffagni, ma provoca comunque Grillo», commentano, tirando in ballo le ambizioni ormai neanche più tanto nascoste dell’ex presidente della Camera, che da tempo accarezza l’idea di raccogliere l’eredità di Vincenzo De Luca. Insomma, l’ex premier si libererebbe in un colpo solo dell’ingombrante fondatore e dei volti più riconoscibili – e capaci di raccogliere consensi sul territorio – che grazie al loro seguito hanno ancora un peso nel partito. Un’occasione ghiotta per tutte le parti in causa.

A tenere per Conte c’è poi Luca Pirondini: il senatore ligure è il nome che i contiani hanno proposto al campo largo per riconquistare la regione a fine ottobre. Già consigliere comunale, oggi senatore, Pirondini potrebbe virare verso la Regione con una serie di mosse spericolate di incarico in incarico che in altri tempi nel M5s non avrebbero visto di buon occhio. Ma la partita regionale è importante per Conte, che ha bisogno di un nuovo caso Todde per dimostrare che il suo intuito (e un ruolo secondario di Matteo Renzi) è garanzia di vittoria per il centrosinistra. Soprattutto in vista dello scontro finale con Grillo.

Le deroghe interessano anche i parlamentari che oggi stanno portando a termine il proprio mandato. A dire le cose chiaramente è stata la deputata Vittoria Baldino: «Le regole devono essere funzionali alla forza politica, e non viceversa, per cui se in questa fase è necessario conservare le esperienza maturate, io credo che sia importante farlo, e non lasciarle alle spalle per una regola scritta 15 anni fa che obiettivamente in questo momento secondo me fa più un danno che un beneficio».

Sulla stessa lunghezza d’onda il capogruppo alla Camera Francesco Silvestri: «Non esistono dogmi, mi ritrovo nell'ambizione contiana». La valutazione generale è che i gruppi parlamentari sono pronti a far quadrato intorno a Conte: unica eccezione, l'ancora numerosa pattuglia campana che fa capo a Fico, di cui fa anche parte il capogruppo in commissione Vigilanza Dario Carotenuto. Se anche il punto di riferimento di questi parlamentari dovesse ricollocarsi, la maggior parte di loro, essendo al primo mandato, si troverebbe quasi a sua insaputa al fianco di Grillo, pur non avendolo mai conosciuto di persona.

Chi resta con Grillo

Per un’eterogenesi dei fini, infatti, l’istinto di sopravvivenza politica porta deputati e senatori al primo mandato a spingere per il mantenimento del vincolo che Grillo difende a spada tratta. Per il resto, il tempo delle divisioni quasi alla pari tra grillini e contiani sono finite. Insieme al fondatore rimane poi l’ultimo dei Mohicani Danilo Toninelli, che prende posizione contro uno scontro definitivo che ormai appare inevitabile. «Quando Grillo ha inviato la lettera ha voluto ricordare a tutti quali sono le radici profonde del Movimento. Senza quelle radici, nessuna evoluzione è possibile» ha detto l’ex ministro. Resta solo da vedere se attivisti contiani e vertici attuali non considerino quelle radici ormai marce e da rimuovere.

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