La proposta inapplicabile del “tetto” agli stranieri per classe; e quella anti autonomista di limitare la discrezionalità delle scuole nell’organizzazione dei calendari. Iniziative ideologiche in chiave elettorale, mentre i veri problemi della scuola restano inaffrontati
Forse un giorno saremo grati alla spregiudicatezza del ministro Valditara se il suo maldestro comportamento in merito alle più che legittime scelte della scuola di Pioltello sta portando molti a riflettere su come organizzare meglio i lavori delle nostre scuole tenendo conto laicamente, nell’organizzazione dei calendari, delle esigenze di una maggioranza o di una corposa minoranza degli studenti.
Può sembrare un’ovvietà ma questa del calendario è una delle tante rilevanti tracce di una scuola dell’autonomia che nasce con il contributo di molti, non ultimo Luigi Berlinguer che continua ad essere un punto di riferimento. La scelta dell’autonomia fu un ribaltamento del pensiero e della lettura della scuola. Non più la scuola nozionistica, figlia dello Stato del primo Novecento, ma una scuola delle comunità capace di dare euristicamente a ciascuna e a ciascuno quello di cui ha maggior bisogno per provare a trovare la propria strada nel mondo, adattare programmi, tempi e modalità alle specificità dei ragazzi e delle ragazze, del nucleo classe nel suo complesso unicum sempre diverso, e della comunità con i suoi punti forza da valorizzare e i punti deboli su cui intervenire.
Un modello su cui occorre ancora molto lavorare anche con maggiori risorse materiali ed umane, da sviluppare culturalmente, ma che è autonomia praticata, che valorizza anche nell’organizzazione anche del tempo le specificità locali.
Che ironia che contro questo modello, embrione di un crescente sviluppo della centralità delle comunità locali, si scagli – per giunta nel quarantesimo della sua fondazione – il ministro di un movimento politico, la Lega, sulla cui crisi di senso si è espresso in modo netto il suo fondatore Umberto Bossi.
A cosa porta la caccia al voto in vista delle elezioni europee. Senza rispetto per le conseguenze che questo produce alla serenità delle comunità scolastiche e rischiando di alimentare l’intolleranza e la discriminazione.
Tutto questo mischiato alla retorica di soluzioni ventilate e inattuabili, oltre che sbagliate, come quel tetto alla presenza di “stranieri” per classe, contestato – tra l’altro – anche dai partiti di maggioranza di governo. Un malessere per una preoccupante crociata ideologica fatta in classe palesatasi nel consiglio regionale della Lombardia dove, con i voti contrari di una parte della destra, la mozione contro la scuola di Pioltello è stata sonoramente bocciata.
Compito delle istituzioni è rafforzare la capacità della scuola italiana di fare tesoro delle differenze culturali e religiose in un’ottica veramente inclusiva. Cogliendo anche la forza pedagogica del multilinguismo e le opportunità dell’incontro con la diversità proprio come uno dei punti focali della scuola in una democrazia.
Pochi giorni fa a Prato il Pd ha ascoltato testimonianze importanti e positive di esperti e comunità locali che, in tante parti del Paese, si impegnano quotidianamente nell'attività di integrazione a favore degli studenti con background migratorio.
Vorremmo che il ministro andasse a riprendere gli orientamenti interculturali che lo stesso ministero dell'Istruzione, solo 3 anni fa, ha pubblicato, contengono le azioni che si dovrebbero mettere in atto: più insegnanti di cattedra A023, più attività di mediazione culturale, più risorse a favore dell'istruzione.
Chiediamo al ministro di “tornare a quote più normali”, di occuparsi dei tanti problemi reali della scuola italiana, e di non giocare con il fuoco dell’odio. Di cattivi maestri questo Paese ne ha avuti già abbastanza.
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