L’annuncio getta nel panico i vertici dell’azienda, da settimane in attesa di una decisione della politica. La speranza è che il segnale sia arrivato e la coalizione salvi la Rai dall’impasse
«Si deve muovere la politica, se no non se ne esce». Nei corridoi di viale Mazzini sono preoccupati e sanno bene che per tirar fuori d’impaccio la Rai serve uno scatto di reni della maggioranza. L’azienda si trova ormai in un impasse totale da diverse settimane, da quando è scaduto il consiglio d’amministrazione in carica per gli ultimi tre anni. La ciliegina sulla torta l’ha messa ieri la presidente Marinella Soldi, annunciando le proprie dimissioni. Per il momento si tratta di una comunicazione arrivata al ministero dell’Economia, principale azionista del servizio pubblico: dovrebbe essere formalizzata nella riunione del cda in calendario per il 30 luglio ed entrare in vigore il 10 agosto. Soldi era da tempo in rotta con i vertici scelti l’anno scorso per rimpiazzare Carlo Fuortes, in uscita anticipata dall’azienda.
Ma l’addio della presidente, propedeutico all’assunzione di un nuovo incarico nel cda di Bbc Commercial – faceva già parte del consiglio principale del gruppo già dall’autunno 2023 – a partire dal prossimo primo settembre, lascia il servizio pubblico in uno stallo senza precedenti, tanto che c’è già chi parla di “SfasceRai”.
Già alla presentazione dei palinsesti venerdì scorso a Napoli mancava all’appello non solo Soldi – che ha per altro attribuito all’ad Sergio l'intera paternità dei palinsesti – ma anche la gran parte del cda uscente. Unico presente, il consigliere in area M5s Alessandro di Majo: non esattamente la celebrazione di un risultato condiviso.
Alla presidente negli ultimi mesi non sono mancate occasioni per dare voce al suo disappunto: quando si discuteva del caso Bortone, Soldi aveva messo in discussione la ricostruzione dell’ad e preso le difese della giornalista di Rai3. Più di recente, aveva chiesto conto a Sergio della mancata copertura delle legislative francesi. In entrambi i casi l’ad uscente aveva accusato la presidente di procurare danni d’immagine all’azienda. Non esattamente un clima disteso, insomma. A fare il resto, la dilatazione spropositata delle tempistiche per i rinnovi.
Tra fughe in avanti – quella del presidente della Camera Lorenzo Fontana che era uscito dalla riunione dei capigruppo con l’impegno di trovare uno spazio per l’elezione dei consiglieri entro luglio – e passi indietro – quello del presidente del Senato Ignazio La Russa che durante la sua capigruppo non ha neanche toccato l’argomento – la situazione è ferma. Nonostante le condizioni per il rinnovo ci siano fin da fine maggio, quando è stato chiuso il bilancio, come ha detto Sergio in conferenza stampa a Napoli. Ma finché non arriverà l’accordo politico, tutta la squadra dei vertici Rai rimarrà sospesa.
Nessuno ha la legittimazione necessaria per prendere le decisioni per l’azienda che sarebbero tanto necessarie in un clima di concorrenza acceso: mentre Pier Silvio Berlusconi è tornato più combattivo che mai, Urbano Cairo a La7 non sta a guardare e anche Discovery ha fatto acquisti importanti, checché ne dica l’ad uscente che non considera “la” Nove un rivale. Ulteriore fiato sul collo arriva dalle picconate al canone dei parlamentari in commissione Vigilanza, da cui può difendersi a pieno titolo soltanto un ad legittimato dalla politica. «Nessuno può avere interesse a indebolire Rai e Mediaset, significherebbe indebolire un’intera filiera industriale nazionale» e con lei il «racconto italiano» diceva dal palco Giampaolo Rossi. Un po’ poco dall’ad in pectore, in attesa della sua incoronazione ormai da più di un anno.
Rebus Vigilanza
E allora, c’è da trovare l’accordo politico al più presto. Altrimenti si veleggia verso un consiglio presieduto dal 10 agosto in poi da Sergio stesso, in quanto consigliere anziano, per altro in attesa di conoscere il suo destino dopo il cambio al vertice. Manca l’intesa con la Lega, ma anche Forza Italia ha da gestire i suoi mal di pancia: tramontata l’opzione di replicare lo schema attuale con ad e direttore generale eliminando la seconda carica, i salviniani ambiscono a strappare qualcos’altro, possibilmente una direzione di genere, mantenendo le due testate che già controllano e anche il prime time.
Ma se la Lega si sente sottorappresentata (o meglio, considera sovrarappresentati i Fratelli), gli azzurri hanno negli occhi solo la presidenza. Con il timore crescente che issare Simona Agnes sulla poltrona di Soldi potrebbe rivelarsi più difficile del previsto.
La ragione sta nel rinnovato feeling di Matteo Renzi col il centrosinistra: l’elezione della presidente, che ha bisogno di due terzi dei voti della commissione di Vigilanza sarà la prima prova del fuoco del campo larghissimo. La maggioranza ha bisogno di altri quattro voti per raggiungere il traguardo: nei conti che si fanno in queste ore nella maggioranza l’attenzione si concentra su quello di Dieter Steger della Svp, alleata con FI, e su quello di Mariastella Gelmini di Azione. Iv ha due voti in commissione: nelle ultime ore valgono tantissimo.
© Riproduzione riservata