L’ultimo avvicendamento al ministero del Lavoro di Calderone: fuori Marino, dentro Ventura. Con alterne fortune, c’è una schiera di professionisti alle prese con le smanie di apparire dei ministri
Apparire, voce del verbo del governo Meloni. Ed è il preferito tra tutti: tradotto nel pratico, ogni ministro vuole esserci, sempre e comunque. Al costo di inanellare gaffe. La vita del portavoce e dell’ufficio stampa è complicata in un governo in cui l’immagine è tutto. Il vortice è costante, tra commiati, new entry e assunzioni dei professionisti della comunicazione. Nella lunga lista – per carità di patria omettiamo i nomi di chi ha sbattuto la porta e ha cercato fortuna altrove – è riapparso in scena Marco Ventura, fresco di nomina al ministero del Lavoro, al fianco di Marina Elvira Calderone. È esperto di politica internazionale e soprattutto di gestione di profili quantomeno delicati: nel curriculum spicca l’esperienza con Silvio Berlusconi, da consulente di immagine estera. In pratica una mission impossible.
L’ex portavoce di Calderone, Ignazio Marino, ha salutato la compagnia, dopo aver vissuto per un anno e mezzo il logorio della vita al governo. La ministra, addirittura sulla stampa amica del centrodestra, non è mai stata trattata con i guanti bianchi. Per responsabilità più sue che di Marino, che ha cercato di muoversi sottotraccia. Anche troppo.
L’era meloniana brucia nomi ben pià roboanti. Ne sa qualcosa Mario Sechi, durato poche settimane nel ruolo di portavoce nonostante una carriera di primo piano: è approdato alla direzione di Libero come premio di consolazione, perché a palazzo Chigi non toccava palla. Alla regia comunicativa c’è il binomio Giovanna Ianniello-Patrizia Scurti. Ma il gran visir della propaganda resta Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario factotum, che ha dettato la linea al suo partito – come raccontato dal Fatto quotidiano – sulle caratteristiche fisiche di chi deve andare in televisione.
Ed è proprio lui una delle star della destra al potere. Come narra la leggenda del suo fan club, pieno di accoliti di Colle Oppio, porta il soprannome di “spugna” per la sua capacità di imbeversi di conoscenze. Altrettanto spugna tocca essere alla sua consigliera di comunicazione, Elena Barlozzari, ex inchiestista del Giornale e approdata a palazzo Chigi con il governo Meloni. Deve assorbire la sempiterna esposizione sui giornali del sottosegretario, dotato del raro talento di finire sotto i riflettori anche quando non parla. Più che fare da suggeritrice, a Barlozzari tocca il gravoso compito di fare da filtro vista l’eccezionale qualità Fazzolari.
Oltre all’onnipresenza fazzolariana e allo strapotere delle collaboratrici di Meloni, ufficialmente al posto di Sechi, c’è Fabrizio Alfano. Modi affabili, da cronista parlamentare di razza (era caporedattore politico all’Agi dopo l’incarico alla presidenza della Camera con Gianfranco Fini), alternati a strali taglienti verso chi, almeno nella sua concezione, esagera. In pratica è Giorgia Meloni fatta portavoce.
Amici e cognati
L’approdo di Ventura al Lavoro ha mandato in rapida obsolescenza l’attenzione su Paolo Signorelli, altro neo portavoce di Francesco Lollobrigida, una garanzia per Fratelli d’Italia. Bazzica gli ambienti meloniani fin dai primi vagiti lavorativi, ultimo rampollo di una famiglia che viene dalla trafila Msi-An. L’ultimo incarico era stato con il capogruppo di FdI alla Camera, Tommaso Foti. Fino alla scorsa legislatura era proprio collaboratore di Lollobrigida da presidente dei deputati meloniani.
Del resto, il cognato della premier ama circondarsi di fedelissimi, su un campo arato, da ministro dell’Agricoltura, tutto a destra. Difficile immaginare che Signorelli cambi registro rispetto al passato firmato da Antonella Giuli, transitata dalla vita ministeriale all’ufficio stampa della Camera. Lollobrigida ha la gaffe facile, un campione della disciplina. Servirebbe un rebranding potente, quasi miracolistico, per togliergli quest’aura.
Un destino condiviso con Giuseppe Valditara, da un anno coadiuvato da Francesco Albertario, figlio d’arte (il papà è giornalista) con una lunga trafila nelle relazioni esterne della società Aeroporti di Roma. L’esperienza, sia in famiglia sia personale, non basta rispetto al talento per gli scivoloni del ministro. Un’icona gaffeur.
Portavoce integrati
Fin qui i volti nuovi, si fa per dire, tra i portavoce. Ci sono poi gli immarcescibili, i portavoce diventati tutt’uno con i leader. Basta dire Matteo Salvini per pensare a Matteo Pandini, con il quale condivide – ironia della sorte – anche il nome. Fin dai tempi del Viminale l’ex penna di Libero e autore di un libro proprio sul leader della Lega, è l’uomo-immagine della stampa per il segretario. Pandini, riconosciuto come instancabile stakanovista, rintuzza le polemiche e prova a fare da regista alla comunicazione con alterne fortune.
Di sicuro il suo lavoro, qualche anno fa, era più agevole: Salvini si muoveva da leader della coalizione. Il portavoce del vicepremier resta il battagliero propulsore della propaganda salviniana. Nonostante il declinante destino. Altro profilo alter ego del ministro, è Iva Garibaldi, inflessibile mente della comunicazione di Giancarlo Giorgetti, a capo del Mef. I due si sono conosciuti e apprezzati ai tempi del governo Draghi allo Sviluppo economico. Garibaldi è allineata al Giorgetti-pensiero: uscire il giusto, il meno possibile. Un asse che, a vederlo a distanza, sembra creato in vitro.
Discorso simile eppure diverso è quello del ministero della Difesa di Guido Crosetto, dove è di stanza – come da tradizione – un portavoce ufficiale che proviene dall’esercito, Filippo Fulco. Ma dietro le quinte, il suggeritore è Ettore Colombo, ufficialmente consulente alla comunicazione, gà cronista noto nel giro della sala stampa della Camera. Condivide ogni mossa del ministro, con cui ha cementato negli anni scorsi stima e conoscenza. Vista l’imponente stazza che li accomuna sono i gemelli diversi alla Difesa con il risultato di confezionare il prodotto comunicativo del “gigante buono”. La narrazione forgiata da Crosetto negli anni.
Luci della ribalta
Il collega di partito del sottosegretario, il ministro Adolfo Urso, è la quintessenza della voglia di apparire, costringendo a un super lavoro Giuseppe Stamegna, volto estraneo all’universo meloniano. Il pedigree è quello del comunicatore aziendale, uscito dalla fucina di Comin&Partners, società di consulenza di comunicazione e relazioni istituzionali. La smania di Urso di visibilità è un problema. Anche per il suo scudiero di comunicazione.
Ogni giorno ha la sua voglia di apparire anche per il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, che da giornalista non chiede consulenze in giro. Fa da sé ed è come facesse per tre nella sua idea di tramutarsi in un moto perpetuo. Il capo ufficio stampa, Andrea Petrella, è perfetto interprete dell’iperattivismo dell’ex direttore del Tg2. Sempre pronto a rilanciare i post, i video, le interviste dell’onnipresente ministro. Petrella, vulcanico partenopeo, si muove sull’onda della sua esperienza, prima tra Camera e Senato, e poi al Cnel e alla Corte dei conti. Un movimento perenne. Stressantre e non sempre redditizio in termini di immagine. Una faticaccia provare a spiegarlo a Sangiuliano, partito lancia in resta alla caccia di comunisti delle terrazze romane.
Gli istituzionali
Ne è ben consapevole, invece, l’antidiva per antonomasia del governo, la ministra dell’Università, Annamaria Bernini. Nata politicamente con le stimmate della berlusconiana doc, rifugge dalla tentazione di apparire ovunque. Così centellina le uscite stando sempre attenta a misurare le parole con interventi a prova di gaffe. È una delle poche che gode di una buona stampa, addirittura tra i giornali non vicini all’esecutivo. Alle spalle c’è il lavoro del portavoce, Francesco Ciaraffo, già cronista politico dell’agenzia Public policy. Al ministero ha saputo attagliarsi alle richieste di Bernini: parlare di Università, circumnavigando i problemi politici.
Altro profilo che ha saputo forgiare un afflato istituzionale è Carlotta Sabatino, responsabile stampa di Luca Ciriani dopo gli anni al fianco di Mara Carfagna, ministro per i Rapporti con il parlamento, portavoce-ombra. Sempre pronta a una marcatura stretta dei cronisti che provano a strappare battute a uno dei rappresentanti dell’esecutivo più esposto – per la sua mansione – ai corridoi di Montecitorio e palazzo Madama. Sabatino è così una delle artefici della buona immagine di Ciriani, avvantaggiato dalla proverbiale disponibilità con i giornalisti.
Uno degli alieni, almeno dai trascorsi, è Francesco Kamel, portavoce di Matteo Piantedosi al Viminale, con una storia tutta esterna alla politica e ai palazzi del potere. Quasi tutti, nell’ambito lavorativo, riconoscono a Kamel un’eccellente inclinazione al dialogo. A dispetto di un incarico in una casella delicata con un ministro spesso nel vortice della polemica. Raffaele Fitto ha trovato la sua alter ego all’ufficio stampa: Annamaria Buffo, con trascorsi da giornalista in Puglia, segue la linea istituzionale del ministro del Pnrr, sovraesposto ma altrettanto super attento a non esporsi ulteriormente sulla stampa. La rarità delle sue interviste è ormai un amuleto. Buffo ha capito il ruolo, mai nulla sopra le righe. Stessa scuola per Federica Ronchi, portavoce del ministro dello Sport, Andrea Abodi, che si muove bene nel campo della comunicazione già da sé. Facilitando il compito a chi lavora al suo fianco.
Eroi e portasilenzi
La palma di portasilenzi, categoria sempreverde dei comunicatori di governo, spetta a Vincenzo Nigro, ex firma di punta degli esteri a Repubblica e oggi consigliere comunicazione di Antonio Tajani alla Farnesina. Il cronista ha dismesso i panni del cacciatore di notizie adeguandosi alla grisaglia governativa. E i “non detti” di Tajani sono diventati iconici, a differenza delle troppe affermazioni, spesso smentite, del Guardasigilli, Carlo Nordio, affiancato dalla portavoce Raffaella Calandra, ereditata dal precedente governo. La sua vita era molto più agevole nella gestione Cartabia. I risultati si vedono.
Encomio speciale va infine a Francesco Condoluci, che da consulente per la comunicazione sta resistendo alla ministra delle Riforme Casellati, nota mangia-portavoce. L’immagine esterna non è delle migliori. Ma come ogni professionista di comunicazione si fa i conti con quel che si ha a disposizione.
© Riproduzione riservata