L’imbarazzo si pesa sui silenzi e il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, ne sta facendo provare molto alla maggioranza. Il tilt dei treni di mercoledì 2 ottobre, a partire da un guasto a Roma Termini, è stato una debacle di immagine del tutto inaspettata per il governo, con il leader della Lega che ha privilegiato lo scarica barile prima su Ferrovie dello Stato e poi sulla società privata apparentemente colpevole della centralina non funzionante.

Fino al passo finale, comunicato in serata: la sospensione dei rapporti economici con la ditta coinvolta. Tuttavia, i disagi sui convogli sono continuati anche nella giornata di giovedì e la viabilità non si è ancora del tutto stabilizzata.

Eppure, il caso non può certo dirsi chiuso e avrà strascichi politici, che già si leggono in controluce nelle reazioni degli alleati di centrodestra.

Il guasto di mercoledì, infatti, è stato eclatante sì, ma è solo l’ultimo di una quantità importante di disagi che hanno interessato le tratte ferroviarie per tutta l’estate. Vero che i cantieri aperti sono molti grazie al Pnrr, ma deve anche esserci qualcosa che non va in chi guida la struttura, è l’analisi di fonti di maggioranza.

E a dirlo in modo chiaro è stato forse il più mite degli alleati, il centrista Maurizio Lupi che tuttavia il dicastero lo conosce bene, essendone stato inquilino: «I guasti sono troppo frequenti per essere fisiologici o casuali», quindi «è necessaria una riflessione del ministro: serve un piano straordinario per la manutenzione». La sua è stata l’unica posizione esplicita, nel mare di silenzio che ha caratterizzato la maggioranza nelle ultime 48 ore e soprattutto Fratelli d’Italia.

Il silenzio

L’unica stringata nota in merito è arrivata a distanza di un giorno dai fatti, firmata dal capogruppo FdI in commissione Trasporti alla Camera, Fabio Raimondo, che ha parlato di «urgenza di indagare i motivi» del disagio, «anche con l’audizione di Rfi, Fs e Trenitalia», sottolineando che «FdI è dalla parte dei cittadini» e che «il governo sta investendo molto sugli interventi per potenziare l’infrastruttura ferroviaria».

Nelle ore immediatamente successive ai disagi, invece, nessuno ha commentato nemmeno con una battuta d’agenzia, con un mutismo che difficilmente può essere derubricato a coincidenza. Nessun riferimento a Salvini, nessuna difesa nemmeno d’ufficio davanti alla richiesta di dimissioni delle opposizioni, è stata la linea di scuderia cui i parlamentari meloniani si sono scrupolosamente attenuti. Stessa scelta è stata fatta anche da Forza Italia. Del resto, la consapevolezza dell’impatto di un disagio dei trasporti sui cittadini – che sono anche elettori – è chiaro.

L’effetto è quello di un isolamento del ministro dei Trasporti che – è voce diffusa dentro la maggioranza – sta poco al dicastero di piazza di Porta Pia e preferisce viaggiare su e giù per l’Italia, coniugando il taglio di nastri inaugurali ad eventi politici sul territorio. E in questo momento i suoi amici si contano sul palmo di una mano, anche dentro il suo partito.

Fuori, invece, ormai la competizione con FI è evidente su molti dei dossier in mano al governo – primo tra tutti l’autonomia differenziata - e i rapporti con il partito di Giorgia Meloni, soprattutto in Ue, sono più freddi che mai.

Nessuno ipotizza apertamente le sue dimissioni, come è ovvio nel rispetto di un leader alleato, tuttavia la fase attuale mostra un Salvini più in difficoltà che mai, di cui i treni in ritardo sono solo l’ultima, eclatante, dimostrazione.

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