I dissidenti tacciono o sono stati espulsi. Gli altri negano di esserlo. A Zaia, Fedriga e Giorgetti non interessa la leadership nazionale. Sala: «A Pontida per difendere il segretario». La proposta della fedelissima di Durigon: «Edifici fascisti di Latina patrimonio Unesco»
«La Lega è compatta», assicurano i salviniani, che hanno acceso i motori della macchina organizzativa di Pontida, il raduno annuale del partito, L’evento sul pratone è uno strumento per veicolare messaggi politici, per capire in che direzione sta navigando il partito, un tempo del Nord, oggi per Salvini premier. In questi ultimi tre anni si è detto molto della crisi interna del segretario Matteo Salvini, il Capitano prima di tutto e poi ministro dei Trasporti e vicepremier.
Si è scritto moltissimo di fazioni nordiste pronte all’assalto della segreteria. Segnali di queste scosse le espulsioni recenti dalla Lega Salvini di esponenti nostalgici del partito nordista dei tempi di Umberto Bossi e di Roberto Maroni. Eppure questo rumore di fondo è solo un fastidioso ronzio tra la platea di acclamatori e seguaci del Capitano, che anche nel suo peggior momento politico, con il consenso ai minimi storici, è saldo al comando della truppa sovranista italiana.
Una ribellione carsica, mai sfociata in sommossa per riportare al potere nel congresso l’ala della fu Lega Nord. Il partito è blindato: con Claudio Durigon vicesegretario la questione settentrionale è secondaria, il suo feudo Latina conta molto di più. A tal punto che l’architettura razionalista di epoca fascista della città è degna di trovare spazio nell’elenco dei siti patrimonio dell’umanità dell’Unesco. Non è uno scherzo, è una risoluzione che voterà oggi la commissione Cultura della Camera su proposta della leghista, fedelissima di Durigon, Giovanna Miele.
«La verità è una sola, non c’è una leadership che possa sostituire Salvini in questo momento storico», dice Stefania Piazzo, leghista della prima ora, già nella Padania e ora direttrice della testata La Nuova Padania, punto di riferimento per molti fuoriusciti in contrasto con la linea nazionalista del Capitano.
Nei giorni più bui di Salvini circolavano i nomi di possibili successori: Luca Zaia, il governatore del Veneto, e Massimiliano Fedriga, presidente del Friuli-Venezia Giulia. Gli unici, insieme a Giancarlo Giorgetti, in grado, secondo la tesi nordista, di riportare la Lega sui binari della sua tradizione federalista. Falsi allarmi, «Ma chi glielo fa fare? E poi finché questa Lega occupa posti di governo a nessuno conviene lo strappo», la battuta con cui Piazzo liquida la questione.
«Quando si parla di congresso della Lega, non è in discussione il segretario», dice Fabrizio Sala, da poco eletto segretario provinciale di Bergamo, territorio dove sorge Pontida, cuore pulsante della vecchia Lega. L’elezione di Sala era stata raccontata come clamorosa, la vittoria di un antisalviniano in un congresso così importante: «Non sono contro il segretario», assicura, «io sono leghista e punto». Fedele alla linea. Nessuna questione interna, dunque? «Il partito deve mostrare compattezza, il processo di Palermo è un attacco a tutti noi», dice.
La sua è un’analisi che trova conferma nelle dichiarazioni al miele di Zaia sulla Pontida salviniana: «Sarà un raduno di molto importante», «da una parte c’è il tema dell’autonomia, poi c’è la questione Open Arms, con un processo aperto a Salvini in qualità di ex ministro dell’Interno». Autonomia e processo di Palermo, queste le due direttrici che seguirà la narrazione dal palco di Pontida. L’armonia ritrovata con il segretario è solo apparente, è noto a tutti nel partito che la Liga Veneta è in maggioranza antisalviniana e antivannacciana. A proposito, lui, il generale Roberto Vannacci, sarà sul palco di Pontida. «Su alcune cose ci ritroviamo», spiega Sala, «ci sono passaggi del suo libro che condividiamo».
Vannacci ospite atteso, inatteso e osteggiato allo stesso tempo. L’ostilità è di un blocco leghista contrariato dalle alleanze con l’estrema destra europea, dai tedeschi di AfD ai portoghesi di Chega! fino a Viktor Orbán e agli olandesi islamofobi guidati da Geert Wilders. Molti di loro calpesteranno il sacro pratone che fu di Bossi, il Senatur. L’indipendentismo è tramontato, la nuova alba ha i colori dell’internazionale nera, del nazionalismo tricolore. «La bandiera italiana non mi rappresenta», Salvini dixit, anno 2011. Oggi invece è il martire, difensore dei confini della nazione.
«Perché abbiamo smesso di dialogare con forze autonomiste e federaliste, per accordarci con chi non ha la nostra naturale repulsione nei confronti di fasci e svastiche?», è una lettera firmata da 21 leghisti bergamaschi. Tra i firmatari, anche big come l’ex deputato Christian Invernizzi. Attendono ancora un cenno dal leader. Di certo però a Pontida troveranno un sindaco non leghista per la prima volta dopo vent’anni. E i leader dell’estrema destra europea. Forse è sufficiente come risposta alle loro domande.
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