A viale Mazzini si discute dell’opportunità di riorganizzare alcuni canali per liberare spazio utile per mettere in piedi un canale dedicato al branded content. Questo nonostante gli ultimi andati in onda, quelli negoziati dal direttore del day time Angelo Mellone, hanno fatto sollevare qualche sopracciglio sull’opportunità di affidare a una sola persona la decisione su cosa mandare in onda, anche se è finanziato da aziende private
Un canale tutto dedicato ai branded content. È questo il piano del direttore generale Giampaolo Rossi, che starebbe valutando, insieme agli altri vertici di viale Mazzini, una riorganizzazione dei canali che potrebbe spianare la strada alla creazione di una rete dove andrà in onda un palinsesto all’insegna dei contenuti sponsorizzati.
La manovra di cui si sta iniziando a discutere in Rai dovrebbe essere presentata a gennaio, quindi il progetto è ancora in fase embrionale. Ma l’idea è già chiara: i branded content sono un contenuto ormai ben ancorato nei palinsesti Rai, fin dai tempi della direzione di Raidue di Carlo Freccero, che nel 2019 spiegava senza mezzi termini che sarebbero stati «il futuro della pubblicità delle reti generaliste».
Il concetto è stato poi ampiamente sviluppato da chi è andato a viale Mazzini dopo di lui: il migliore interprete del genere è probabilmente Angelo Mellone, che ha fatto dei contenuti sponsorizzati una delle colonne portanti dei suoi palinsesti. Ne sono finiti nella sua programmazione day time tantissimi, non ultimo quello ideato gratuitamente da Ludovica Casellati, figlia della ministra delle Riforme Maria Elisabetta Casellati. Secondo lui, i contenuti sponsorizzati non sono altro che «buone pratiche manageriali realizzate da chi sa fare prodotto editoriale».
Il sistema
Secondo le norme attuali della Rai, l’ultima parola sull’opportunità di mandare in onda oppure no un certo contenuto cade tutto in capo al direttore competente – nel caso delle diverse Linee, per esempio, Mellone – una circostanza che apre a diversi aspetti problematici. A partire dal fatto che i contenuti sono sì segnalati come realizzati per conto di un committente esterno, ma per il resto appaiono in tutto paragonabili ai prodotti tradizionali della Rai. Il caso di Mellone sembra aver messo a dura prova anche la pazienza del suo mentore, il direttore generale.
E oggi, chi va a discutere una nuova proposta di programma con i vertici di viale Mazzini deve presentare un progetto a prova di imbarazzi: i dirigenti si muovono sulle uova per evitare di finire esposti come Mellone, per cui adesso è in discussione uno spostamento a un’altra direzione, quella della fiction.
Ora, l’attenzione ai branded content di viale Mazzini potrebbe fare il salto di qualità per mano di Rossi stesso, con una riorganizzazione delle reti di cui dispone la Rai: a entrare nel mirino sarebbero nello specifico Rai Kids e Rai Yoyo, ma anche Rai Movie. Il rimescolamento delle carte porterebbe a sacrificare una delle due reti dedicate ai ragazzi – che da anni ormai sono state liberate dalla pubblicità – per dedicare il palinsesto di una rete ai contenuti finanziati da aziende esterne. L’idea non è nuova: Discovery ha creato a questo scopo Food Network, Mediaset sta valutando di dedicare ai contenuti sponsorizzati La5.
Guarda che ti passa
Secondo gli esperti, i canali di questo titolo restano utili per la sperimentazione di nuovi format e testare nuovi tipi di programmi. Resta da vedere se l’attrattività di un canale piuttosto in basso nella lista dei programmi sia interessante per gli investitori quanto la possibilità di presentare il proprio prodotto sulla rete ammiraglia, foss’anche nel palinsesto diurno.
La portata, effettivamente, non è comparabile: i programmi in onda la sera sulle reti dedicate difficilmente toccano l’1 per cento di share. Una visibilità minore abbassa i prezzi e rende il mercato più accessibile anche per aziende che non possono permettersi di spendere diverse decine di migliaia di euro a puntata che costa per esempio Linea Verde Bike, il programma nato dall’idea di Casellati, che comunque sabato scorso ha raccolto il 18 per cento di share.
Ma di fronte a un investimento comunque ingente, spiega chi conosce bene il mercato dei branded content, i marchi in cerca di pubblicità spesso preferiscono mettere i soldi su attività web, che raggiungono molte più persone. Anche perché una produzione televisiva seria costa, molto più facile affidare il proprio brand alle storie di un influencer su Instagram.
L’altra questione è quella dell’opportunità di dedicare ulteriore spazio a un tipo di pubblicità di cui la Rai – che ovviamente attinge, anche se con alcuni limiti, anche alla raccolta pubblicitaria ordinaria – già fa ampiamente uso. Senza dimenticare che la concessionaria del servizio pubblico ogni anno riceve il canone pagato dai contribuenti. Certo, Matteo Salvini è ancora pronto a picconare il contributo in virtù delle sue promesse elettorali, su cui torna ciclicamente ma che non è riuscito a portare a casa. Merito della strenua opposizione di Fratelli d’Italia, che non ha intenzione di sottrarre denari ai primi vertici nominati dalla destra alla guida del servizio pubblico. Per adesso, almeno.
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