Maysoon Majidi è libera. Dopo oltre dieci mesi di carcere, i giudici di Crotone hanno revocato la custodia cautelare nei confronti dell’attivista curdo-iraniana, fuggita dall’Iran e arrestata in Italia con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

L’uomo che ha guidato la barca, dalla Turchia alle coste calabresi, in udienza ha escluso totalmente un ruolo della ragazza. I testi della difesa «hanno in gran parte ridimensionato il quadro accusatorio» – hanno scritto i giudici – e per questo è stata disposta «l’immediata liberazione» di Maysoon. Il processo è ancora in corso.

L’attivista 28enne era incredula. Le otto ore di udienza e le dichiarazioni della pm le avevano tolto le speranze, ma, alla lettura dell’ordinanza, ha sgranato gli occhi, cercando di capire se fosse vero quello che stava accadendo. Si è alzata e con tre dita ha mostrato un simbolo di lotta, ricevendo in cambio l’applauso della comunità che in questi mesi l’ha sostenuta: un riconoscimento alla sua tenacia e alla sua determinazione.

Foto Domani/Ikonomu

«È un passo positivo, Maysoon è fuori dal carcere. Ma è ancora a processo. Porterà sempre con sé il timore di tornarci». A parlare è Zehra Doğan artista e giornalista curda di 35 anni, che è stata reclusa nel penitenziario di Diyarbakir, nella Turchia sud-orientale, per un dipinto. Conosciamo le terribili condizioni della sua prigionia grazie alla corrispondenza con l’amica Naz Oke, pubblicata in Italia da Fandango. A chiederne la liberazione e denunciare la sua detenzione, nel 2018, anche Banksy.

Qual è il prezzo da pagare da attivista, donna e curda?

Il prezzo da pagare è alto. Per il solo fatto di aver dipinto un quadro ho passato tre anni della mia vita in carcere e da cinque sono in esilio in Germania. Pagare il prezzo significa anche stare lontano dalla famiglia, per un periodo di tempo indefinito, lontano da tutto ciò che amo. Tutto ciò è accaduto per un dipinto e il mio attivismo per i diritti delle donne.

Attiviste per i diritti delle donne, curde, giornaliste, artiste. Sono gli elementi che la legano a Majidi, che ha vissuto 300 giorni in carcere in Italia. Cosa ci racconta la sua storia?

Maysoon è un esempio molto importante. Questa storia mostra come l’Europa vede le donne e i diritti umani dei cittadini stranieri, e soprattutto la superficialità della politica dei diritti umani che predica. È una situazione che sconvolge non solo Maysoon ma molte altre donne e molti curdi. Se penso al suo caso, o faccio un’intervista come questa, mi sveglio sempre con pensieri negativi.

Stiamo parlando di una persona che ha superato un confine. Quando cerchi di salvarti dalla palude, provi impotenza, speranza, ma quel luogo di approdo, che pensavi essere una terra asciutta, non è altro che un’illusione. Questa è l’Italia per Maysoon al momento. Anche per me lo è stato: ho dovuto chiedere asilo. Sto aspettando una risposta da un anno e mezzo e non posso andare da nessun’altra parte, non posso muovermi.

Sono stata rilasciata da una prigione e sono piombata in un’altra. Almeno quando ero detenuta nella mia città natale, nella mia terra, sapevo che potevo vedere mia madre, anche se dietro una finestra. Ora nemmeno questo. E penso a Maysoon, a quanto sia stato difficile per lei stare in carcere in un paese di cui non conosceva la lingua.

Majidi non si sentiva sicura e pensava di salvarsi in Europa. Qual è la politica dei paesi europei?

In Europa le leggi sono belle solo sulla carta. Da giornalista ho considerato spesso l’Ue come esempio per denunciare le violazioni dei diritti umani in Turchia. Ma ora ci rendiamo conto che l’Europa non li rispetta in alcun modo. Una delusione.

Dopo l’uccisione di Mahsa Jina Amini in Iran, è nato un movimento guidato da donne e diffuso in tutto il mondo, con lo slogan “Jin Jiyan Azadi” (“Donna vita libertà”) originato dalle lotte curde degli anni Novanta. In Germania, le parlamentari si sono tagliate i capelli. Molte sono scese in piazza per sostenere la lotta delle donne iraniane e curde. Il regime sta esercitando una grande pressione sulle donne e, si è detto in Occidente, «devono essere libere e faremo tutto il possibile per sostenerle».

Maysoon è una delle donne che provengono da quella lotta. Pensava di non poter più vivere nel suo paese ed è dovuta fuggire. Ma, arrivata in Italia, è stata punita. Siamo considerate belle quando combattiamo nella nostra terra, facciamo simpatia, veniamo sessualizzate. Jin Jiyan Azadi è apparso su tutti i giornali, ma andiamo bene viste da lontano, ci si dice: «Non hai il diritto di vivere qui». Non si sostiene la causa se non si accoglie una rifugiata. Maysoon è trattata da capro espiatorio.

Qual è nella sua esperienza il ruolo dell’arte e della scrittura in carcere?

Nei momenti di pressione le persone sono più produttive. Sei da solo con te stesso e sai che ti farai male se non riesci a esprimerti. Ecco perché cerchi sempre di lottare per far conoscere la tua storia e riuscire a sopravvivere. Devi esprimerti per proteggere la tua salute mentale. E questa situazione porta a una grande produttività, che ha però un prezzo: il trauma.

Durante la mia detenzione mi dicevo che non avrei dovuto arrendermi, per difendermi. Dovevo costantemente dire a me stessa di avere ragione affinché la gente mi credesse. Ma ero già innocente. Perché una persona deve difendersi da sola, anche se è reclusa, deve scrivere, produrre, far sentire la sua voce?

«Ho perso un anno di vita che nessun risarcimento potrà mai restituirmi», ha detto Majidi quando è stata liberata.
Una persona che ha vissuto in prigione, secondo me, non sarà mai più completamente libera, sarà prigioniera per tutta la vita. Anche se sei libero, non lo sarai più come qualunque altro essere umano che non ha mai sperimentato il carcere. Non riesci più a goderti le cose che ti piacevano, non ti emozioni più.

Provi solo un senso di colpa pensando alle persone che hai lasciato indietro, in una situazione simile alla tua. La mia vita è cambiata completamente. La prigione è stata un punto di rottura. Non posso godermi appieno questa vita perché nulla è dipeso da me: qualcuno mi ha presa e rinchiusa per anni, poi ha deciso di liberarmi.

Che situazione sta vivendo oggi il popolo curdo?

I curdi stanno attraversando un momento complicato. Bloccati in mezzo a quattro paesi, con una guerra pesante in Siria, enormi pressioni in Iran, persecuzioni in Turchia e una grave crisi economica in Iraq, nuova colonia Usa. Nella città in cui sono nata, in Turchia, a ogni angolo c’è un carro armato. Sparano a chiunque sia sospetto. Cos’è questa se non la guerra?

C’è una politica aperta di odio contro i curdi. Due amici giornalisti sono stati uccisi in Iraq, da un drone. Non è stato raccontato da nessun media internazionale. Si condivide lo slogan “Donna, vita, libertà” e non si parla di un giornalista ucciso. Cosa siamo se non una vetrina? Credo in un mondo senza confini. Perché è un crimine spostarsi verso un luogo in cui si pensa di poter essere sicuri?

Io ho ottenuto grande visibilità come artista e ho denunciato come le leggi turche detengano ingiustamente le donne. Non potevo essere salvata, ma forse abbiamo portato all’attenzione pubblica la situazione per chi è venuta dopo. Così, non saremo in grado di salvare lo stato mentale di Maysoon. Da libera, non sarà più la stessa, ma possiamo salvare altre donne.

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