La famosa manovra di 20 miliardi che dovrebbe confermare la spesa per il cuneo fiscale e altre spese indifferibili dovrà essere per forza rivista facendo ricorso a qualche taglio verso gli enti locali. Resta quindi una velleità l’ipotesi di riduzione della pressione fiscale nei prossimi anni
All’assemblea dell’Abi del 9 luglio il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha affermato senza esitazioni che non sarà necessaria una manovra “lacrime e sangue” per riportare in ordine i conti italiani, ma una seria politica di controllo della spesa pubblica migliorando l’efficienza del prelievo fiscale senza inasprire le aliquote.
La crescita del 2024 secondo Giorgetti sarebbe dello 0,6 per cento con possibilità di salire allo 0,9 per cento. Secondo il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, presente all’assemblea dell’Abi, anche la crescita dell’1 per cento prevista nel Def può essere realizzabile. Ci sono segni positivi come la situazione finanziaria delle famiglie e delle banche e l’irrobustimento delle imprese ma, ha avvertito Panetta, questi dati non devono indurre all’ottimismo.
Il mondo del lavoro
Infatti, in questi giorni sono usciti alcuni dati Ocse che mostrano che l’Italia è il paese che negli ultimi quattro anni ha avuto il calo più forte dei salari reali, un dato che si riflette negativamente sui consumi delle famiglie, quindi sulla crescita. Nello stesso tempo l’Ocse nota che l’occupazione italiana continua a crescere, anche con contratti a tempo indeterminato, con effetti molto positivi sul tasso di disoccupazione. L’aumento dell’occupazione è dovuto in buona parte anche all’inflazione. Sull’assegno di inclusione (Adi) l’Ocse osserva che andrebbe esteso all’intera popolazione a rischio di povertà.
Ma non è tutto oro quello che luccica. Secondo una recente analisi di Tito Boeri, il tasso di occupazione in Italia è assai inferiore a quello medio dei paesi dell’Ue, soprattutto per l’occupazione femminile. I salari non tengono il passo rispetto all’inflazione perché non c’è un salario minimo, ci sono limitazioni alla contrattazione collettiva e spesso nei contratti c’è una clausola di non concorrenza che limita la mobilità del lavoro.
C’è poi una proliferazione dei contratti che prevedono salari inferiori anche del 40 per cento rispetto a quelli firmati dalle principali sigle sindacali. Per questo l’Italia è uno dei paesi con la più alta percentuale di lavoro povero. Questa fotografia del mondo del lavoro italiano non è certa positiva per un futuro di crescita come previsto dal ministro Giorgetti.
Il quadro generale
Il quadro economico ci dice che l’Italia sta uscendo abbastanza bene dalla crisi pandemica e dalla crisi ucraina, con una crescita superiore rispetto a quella di molti altri paesi. Un contributo sostanziale è stato dato dagli investimenti in costruzioni e dall’aumento dell’occupazione in questo settore. Ma da ora in poi, anche con l’annullamento dei superbonus, da questo settore ci dobbiamo aspettare un contributo negativo in termini di investimenti e occupazione.
L’inflazione sta ancora calando in Italia sia per la produzione che per i prezzi al consumo assestandosi sul 2 per cento. Va ricordato che l’inflazione incide anche sui risparmi e sulla ricchezza in generale, quindi sulle decisioni di spesa delle famiglie con diminuzione dei consumi quindi della crescita. Anche le esportazioni negli ultimi mesi sono un po’ in affanno quindi daranno un contributo assai modesto alla crescita. Resta quindi un’aspettativa di crescita positiva ma modesta.
Infatti Prometeia, nel suo rapporto dell’otto luglio prevede un aumento del Pil dello 0,1 per cento nel secondo trimestre rispetto allo 0,3 del primo trimestre. Prometeia prevede anche un Pil sotto l’uno per cento per i prossimi anni.
Quale futuro?
Anche questo quadro economico, come quello del lavoro, appare insufficiente per affrontare le sfide dei prossimi anni. Innanzitutto occorrerebbe che le imprese riprendessero a investire in attività produttive e non in titoli finanziari come hanno fatto negli ultimi anni. In secondo luogo occorre sfruttare pienamente l’opportunità offerta del Pnrr che potrebbe dare un sostanziale contributo alla crescita. In questo contesto assumono particolare importanza le politiche dell’Ue, soprattutto quelle fiscali, verso le quali l’Italia si presenta in una situazione molto debole.
Intanto l’Italia, assieme ad altri paesi, è stata colpita dalla richiesta di procedura per disavanzo eccessivo. In base al Patto di stabilità a settembre verrà stabilito il percorso per la riduzione dei disavanzi e anche la legge di Bilancio del nostro paese dovrà tenerne conto. La famosa manovra di 20 miliardi che dovrebbe confermare la spesa per il cuneo fiscale e altre spese indifferibili dovrà essere per forza rivista facendo ricorso a qualche taglio verso gli enti locali. Resta quindi una velleità l’ipotesi di riduzione della pressione fiscale nei prossimi anni.
Infine, non dimentichiamo i problemi strutturali della nostra economia come la sottocapitalizzazione delle imprese, la scarsa produttività e l’eccessiva presenza di piccole imprese che non investono in ricerca e sviluppo. L’ottimismo di Giorgetti è totalmente ingiustificato.
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