La scelta del veronese Lorenzo Fontana per la guida di Montecitorio è un segnale a Zaia e un modo per ripagare il territorio con un suo dirigente in un ruolo di peso. Calderoli, che ha fatto un passo indietro al Senato, verrà ricompensato con un ministero
Roberto Calderoli girava per il Transatlantico, nonostante sia stato eletto al Senato. Si è fermato a chiacchierare con Umberto Bossi, arrivato insieme al figlio Renzo e nel cortile antistante l’aula a fumare il sigaro, insieme a Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti. Il quadro della letizia interna al partito del nord, a cui si è aggiunto per un rapido saluto anche Lorenzo Fontana, pochi minuti prima di entrare in aula per venire eletto presidente della Camera.
Il sacrificio del teorico delle leggi elettorali in favore di Ignazio La Russa al Senato verrà ripagato, con tutta probabilità con un ministero. E il più probabile è quello degli Affari regionali, che solo fino a qualche giorno fa sembrava promesso alla ex ministra Erika Stefani.
Il Veneto
È il rimescolamento voluto da Salvini, che sta provando a usare la corsa alle poltrone della maggioranza come mezzo con cui pacificare il partito. La Lega storica risponde soprattutto a dinamiche territoriali: Veneto e Lombardia, poi Piemonte. Le federazioni storiche reclamano posti e attenzioni e sono legate ai loro dirigenti locali.
Per questo Salvini ha deciso di mantenere Riccardo Molinari (piemontese) alla guida del gruppo alla Camera e di spostare Fontana (veneto) alla guida dell’aula. Il segnale è per il governatore della regione Veneto, Luca Zaia: Fontana, infatti, appartiene all’area salviniana ed è amico stretto del capo, tanto che i due condividevano la stanza d’albergo a Bruxelles quando erano entrambi eurodeputati.
La scelta di un veneto è un modo di Salvini per ripagare il territorio, dimostrandogli attenzione, ma anche di creare disturbo a Zaia in casa sua.
A fronte di questo atto d’attenzione, tuttavia, scendono le quotazioni di un’altra veneta per il ministero chiave degli Affari regionali, che Giorgia Meloni ha promesso alla Lega. Erika Stefani, ministra veneta del governo gialloverde, potrebbe dover cedere il passo a un lombardo e il principale indiziato è il bergamasco Calderoli.
La Lombardia
Di passaggio alla Camera, il senatore è sembrato più che rilassato, nonostante lo scranno più alto di palazzo Madama gli sia sfuggito per un soffio.
Ha scelto di farsi da parte per ragioni di partito: Meloni voleva il suo fedelissimo La Russa e concederglielo ha significato aprirsi la strada per incassare un’adeguata compensazione. Per questo, il dicastero degli Affari regionali potrebbe essere la ricompensa adatta a un parlamentare di lungo corso come Calderoli.
Inoltre, togliere lo scranno al Veneto per consegnarlo alla Lombardia significa per Salvini anche intestarsi in modo più deciso il tema dell’autonomia tanto cara ai governatori Zaia e Massimiliano Fedriga.
Il caso Giorgetti
C’è anche un altro lombardo per cui il ministero è quasi assicurato. Il varesotto Giancarlo Giorgetti, che personalmente avrebbe preferito cinque anni di serenità alla guida della Camera più che un posto scomodo in esecutivo, è destinato al ministero dell’Economia.
La sua indicazione è arrivata da Fratelli d’Italia, non è gradita a Salvini che però fa buon viso a cattivo gioco e incassa: è comunque un dicastero in più in quota Lega e non dovrebbe andare a erodere il numero di quelli richiesti durante le trattative. «Se Meloni vuol dare il Mef a Giorgetti noi accettiamo, ma non esiste che questo si sottragga al numero di ministeri che ci spettano», è il ragionamento.
In questo viene in aiuto la crisi di Forza Italia.
Lo scontro tra Meloni e Silvio Berlusconi intorno al nome di Licia Ronzulli ha regalato alla Lega il ruolo di pacera e soprattutto le ha permesso di ricevere quel che verrà tolto a Forza Italia.
Ora il numero di ministeri sarebbe di 4 a Forza Italia e 6 alla Lega, che incasserebbe un posto in più tolto a Berlusconi dopo il mancato voto a La Russa al Senato.
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