L’anno appena conclusosi è stato difficile per la politica in Africa subsahariana. Dalle manifestazioni giovanili in Nigeria contro la violenza della polizia, a quelle contro il governo militare in Sudan, fino alla vittoria elettorale in Zambia di Hakainde Hichilema, pare che il continente stia nuovamente in bilico tra democrazia e autoritarismo.

La serie dei colpi di stato in Ciad, Sudan, Guinea e Mali hanno dato l’idea che si stia tornando ad un vecchio riflesso che pareva scomparso dagli anni Novanta: il ricorso alle armi contro i (propri) civili. Accanto alle guerre interminabili come quella nei due Kiev o del Sud Sudan o alle ribellioni centrafricane, il 2021 ha visto esplodere un nuovo grande conflitto civile in Etiopia mentre il jihadismo è riuscito ad aprire un nuovo fronte in nord Mozambico.

Criminalità e insicurezza sono crescenti in Nigeria settentrionale, che sembra ormai un altro paese rispetto al centro-sud: a causa dell’epidemia di rapimenti, molte scuole sono chiuse e lo stato è ostaggio di bande criminali e di terroristi che si rivolgono direttamente alle autorità in maniera minacciosa e senza nascondersi.

Il perdurare della crisi nel Sahel indebolisce le istituzioni in Niger e Burkina Faso mentre ha quasi distrutto lo stato in Mali e minaccia la Costa d’Avorio. Tale conflitto ha innescato una crisi internazionale tra africani, francesi e russi sul ruolo dei contractors già ampiamente utilizzati in Libia e Medio oriente. 

La stessa guerra libica pare soltanto sospesa, mentre il rinvio delle elezioni previste a dicembre lascia aperto il contenzioso politico-militare tra Tripoli e Bengasi.

La morte della democrazia

Sul terreno della governance si è assistito ad elezioni manipolate in molti paesi e persino in Benin, uno degli esempi di sana democrazia africana fino a poco tempo fa. In Sud Africa l’arresto dell’ex presidente Jacob Zuma, accusato di malversazioni, ha provocato saccheggi e violenze rendendo incandescente il clima politico.

Non si calma la lunga crisi politica in eSwatini (una volta Swaziland) dove l’ultima monarchia assoluta del continente ricorre a strategie sempre più brutali per mantenere il potere. Alla luce di tale scenario sarebbe facile dipingere il 2021 come l’anno della crisi della democrazia in Africa, dopo le speranze degli ultimi decenni.

Africa Report utilizza addirittura il termine di “morte della democrazia africana”. Coloro che attestano che la democrazia sia inadeguata al contesto continentale, basano le loro teorie sul mix di instabilità politica e autoritarismo che rischia di frantumare gli Stati.

Secondo alcuni la giusta posizione sarebbe quella di “lasciarli fallire”, decertificandoli alle Nazioni Unite. Inutile, secondo costoro, considerare come veri stati dei paesi che non lo sono più da tempo. Ma le tragiche evoluzioni dei conflitti libico o maliano dimostrano cosa può avvenire di un stato che si frantuma: l’affrettarsi del jihadismo a riempire i vuoti politici e istituzionali può dar vita a vere e proprie entità eversive che la comunità internazionale non può permettersi. 

La resilienza

Esiste tuttavia anche un altro lato della medaglia di questo 2021 appena trascorso, un versante di resilienza democratica malgrado l’avanzare della pandemia. Ascoltando direttamente le società africane si scopre che non esistono ampi sostegni popolari agli stati a partito unico o ai regimi autoritari.

Le critiche dei cittadini al funzionamento della democrazia si indirizzano verso una richiesta di governance più rappresentativa e non a un cambio di regime. Le vittorie dell’opposizione a Sao Tome e Principe e in Zambia, la resistenza civile in Sudan nonché le proteste contro la corruzione in un ampio ventaglio di paesi, dimostra che la democrazia è in crisi ma la resistenza non disarma.

Salvo in rari casi come per il Sudan (grazie agli Stati Uniti), il mancato supporto dei paesi europei e occidentali alla democrazia africana non significa che gli africani rinuncino ad essa malgrado la forza del modello competitivo autoritario esportato dalla Cina sul continente.

L’Afrobarometro

È vero che lo scarso rendimento di molti governi e le continue polemiche sulla manipolazione elettorale hanno portato ad una diminuzione del gradimento pubblico. L’Afrobarometro, organismo indipendente fondato in Sud Africa e con la sede in Ghana, ha recentemente pubblicato i risultati della sua ultima tornata di sondaggi sulla democrazia in Africa (condotti continuativamente in 34 paesi dal 1999).

Questi ultimi rivelano effettivamente che la maggioranza degli africani è “insoddisfatta” della democrazia in 26 dei 34 paesi inclusi nel campione. In alcuni paesi la “soddisfazione” è talmente bassa da essere quasi percepibile: appena l’11 per cento in Gabon e il 17 per cento in Angola. In base a ciò sarebbe facile desumere che gli africani abbiano rinunciato alla democrazia e stiano chiedendo regimi autoritari.

A uno sguardo più ravvicinato dei dati, l’Afrobarometro suggerisce una conclusione diversa. Coloro che hanno celebrato per strada i colpi di stato in Guinea e Mali, lo hanno fatto perché il golpe deponeva presidenti che avevano minato la democrazia. In particolare la questione del terzo mandato emerge come assolutamente impopolare, mentre la gente non sopporta più elezioni truccate.

Il sostegno pubblico all’idea democratica (paradossalmente 77 per cento in Guinea, 62 per cento in Mali, due paesi dal recente putsch) è uno dei motivi per cui le giunte militari al potere hanno sentito il bisogno di giustificarsi e prevedono di ripristinare il governo democratico.

È l’Egitto l’eccezione

La discussione in atto con la comunità internazionale non riguarda se debba esserci transizione verso un governo civile eletto, ma quanto debba durare. Ciò è molto diverso da ciò che accade in nord Africa o Medio oriente. Unica eccezione pare essere la Tunisia, dove è iniziata la primavera araba: il presidente Saied alla fine ha annunciato il ritorno alle urne.

In Africa subsahariana è interessante osservare come gli eserciti cerchino dei premier tecnici civili con cui conciliare il ritorno al voto. Malgrado le similitudini, i golpe africani non assomigliano a quello egiziano dove al Sisi concentra tutto il potere nelle sue mani senza prevedere un ritorno alla democrazia. La società civile africana è molto maturata e soprattutto ha il sostegno di buona parte dell’opinione pubblica interna, ciò che non è il caso dell’Egitto.

Senza paura

Sempre secondo l’Afrobarometro più del 70 per cento degli africani preferisce la democrazia a qualsiasi altra forma di governo in 20 paesi su 34. Dalle risposte si osserva quanto cresca il sostegno generale al principio di responsabilità dei politici e al coinvolgimento dell’intera società nelle grandi decisioni.

Al di là del campo strettamente politico, la vitalità della società civile africana si rileva, ad esempio, nell’opposizione popolare a mega progetti economici (pipelines, dighe ecc.) e al land grabbing che spesso implicano forti disagi se non lo spostamento delle popolazioni.

Forse gli africani non hanno ancora la democrazia ma sanno bene di cosa si tratta. Una grande speranza comune è quella di poter contare su un sistema di giustizia e su una magistratura non corrotte né sottomesse al governo. La migliore prova della resilienza dei valori democratici in Africa è il fatto che il suo sostegno è maggiore laddove è più minacciata: 81 per cento in Benin, 90 per cento in Etiopia o 78 per cento in Zimbabwe secondo l’Afrobarometro.

L’insoddisfazione per il modo con cui funziona la democrazia non indica che le persone abbiano rinunciato ad essa: oggi l’84 per cento dei cittadini dello Zimbabwe rifiuta il governo militare o autoritario, così come l’87 per cento degli ugandesi o l’89 per cento dei keniani, con una media continentale del 74 per cento del totale degli intervistati.

Come si sa il sostegno pubblico da solo non basta a proteggere davvero la democrazia: le istituzioni che dovrebbero salvaguardare tali valori sono state indebolite in molti paesi. Tuttavia più i leader abusano del loro potere e più sarà loro difficile legittimare il proprio governo. Nel 2022 vedremo esplodere molte altre proteste: gli africani non hanno più paura. 

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