In Medio oriente il conflitto in corso tende ad allargarsi. Le forze jihadiste filo-turche hanno preso il controllo di cinque quartieri di Aleppo senza incontrare resistenza da parte delle forze governative, sostenute dalla Russia e dall'Iran. Mosca ha accusato i filo-turchi e con i siriani ha attaccato la città di Idlib, ultima roccaforte delle forze jihadiste in Siria. Negli aspri combattimenti ci sono stati quasi 250 morti in due giorni.

I ribelli armati siriani hanno puntato su Aleppo affermando di essere entrati nella seconda città più grande del Paese, per la prima volta da quando le forze governative l'hanno riconquistata nel 2016. «Le nostre forze hanno iniziato ad entrare nella città di Aleppo», si legge in una dichiarazione della coalizione ribelle di recente formazione. In precedenza i ribelli avevano dichiarato di aver preso il controllo del Centro di ricerca scientifica militare del governo siriano alla periferia di Aleppo dopo «intensi scontri con le forze del regime e le milizie iraniane». Negli scontri è stato ucciso anche un alto ufficiale dei Pasdaran di stanza nella città.

«Hayat Tahrir al-Sham (Hts) e le fazioni alleate sono riuscite a entrare nella periferia dei quartieri di Al-Hamdaniya e Nuova Aleppo della città di Aleppo», ha dichiarato l'Osservatorio siriano per i diritti umani. Ma l'esercito regolare non sembra intenzionato ad arrendersi: «Le nostre forze continuano a respingere la grande offensiva», hanno fatto sapere i militari, aggiungendo di aver «ripreso il controllo di alcune posizioni».

La Turchia, che sostiene i ribelli, ha chiesto di porre fine agli «attacchi» contro la città di Idlib e la sua regione, l'ultima roccaforte jihadista e ribelle nel nord-ovest della Siria. «Abbiamo chiesto la fine degli attacchi. I recenti scontri hanno generato un'escalation indesiderata delle tensioni nella regione di confine», ha detto il portavoce del ministero degli Esteri turco riferendosi «agli sviluppi a Idlib e nella sua regione».

Il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araqchi, che sostiene Damasco, ha denunciato i recenti attacchi dei ribelli in Siria come «un piano sionista-americano successivo alla sconfitta del regime sionista in Libano e Palestina», hanno riferito i media statali di Teheran. E in una telefonata con il suo omologo siriano, Araqchi ha ribadito il sostegno dell'Iran al governo siriano di Bashar al-Assad.

La Russia, altro attore nella regione insieme agli americani, ha chiesto al governo siriano di ripristinare l'ordine nella regione di Aleppo il più presto possibile. Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha detto che Mosca considera l'attacco come una violazione della sovranità della Siria e vuole che le autorità agiscano rapidamente per riprendere il controllo. La Russia è una stretta alleata del presidente siriano Bashar al-Assad ed è intervenuta per la prima volta nella guerra civile siriana nel 2015, volgendo il conflitto a favore del presidente, le cui forze un tempo controllavano solo un quinto del paese.

Nuovi raid in Libano

Intanto la tregua tra Israele e Hezbollah intanto è messa a dura prova. L'esercito israeliano (Idf) ha annunciato di aver effettuato un attacco aereo contro un lanciarazzi mobile a medio raggio di Hezbollah nel Libano meridionale. L'attacco con drone, riporta il Times of Israel citando il comunicato dell'Idf, è stato effettuato dopo che l'esercito ha identificato attività e movimento del lanciatore montato su camion. Hezbollah ha riportato «una grande vittoria», ha rivendicato il leader del Partito di Dio, Naim Qassem.

«L'Idf è schierato nel Libano meridionale e sta operando per rimuovere le minacce a Israele e che rappresentano violazioni dell'accordo di cessate il fuoco», ha spiegato l'esercito israeliano. Mentre il premier Benjamin Netanyahu ha dichiarato di essere «pronto a una pausa nella Striscia in cambio del rilascio degli ostaggi, ma non alla fine del conflitto».

In un'intervista esclusiva con Yaakov Bardogo per la tv israeliana Channel 14 Netanyahu ha inoltre detto che «l'accordo con il Libano è stato firmato ora proprio perché abbiamo ottenuto esattamente ciò che cercavamo di ottenere». Il primo ministro israeliano però ha ribadito la minaccia di una guerra intensa se la tregua non dovesse reggere: «Colpiremo Hezbollah con un colpo fatale e creeremo le condizioni per il ritorno dei nostri residenti nel nord». Insomma non proprio un atteggiamento di chi crede nella tregua appena approvata.

E in serata il premier convoca una riunione speciale sulla sicurezza per discutere degli sviluppi in Siria e del cessate il fuoco in Libano.

Il viaggio di Abu Mazen

E sul versante palestinese, il presidente Mahmoud Abbas pianifica il suo viaggio in Italia, previsto il 12 e 13 dicembre, per incontrare papa Francesco, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, e il capo del governo Giorgia Meloni. «Non vedo l'ora di incontrare il Papa. Per me è un amico - ha ripetuto Abu Mazen più volte nel corso del colloquio col quotidiano Avvenire -. Non posso scordare quell'evento storico che ha promosso in Vaticano quando ha chiamato, per la prima volta nella storia insieme, noi, i musulmani, gli ebrei e i cristiani a piantare nei suoi giardini un albero di ulivo per la pace».

«Mi auguro – ha concluso Abu Abbas - che in esecuzione del mandato della Corte penale internazionale Benjamin Netanyahu venga presto arrestato e si possa rapidamente riprendere un percorso di pace. Non siamo solo noi ad augurarcelo ma anche tanti cittadini israeliani stufi del loro governo estremista e desiderosi di vivere in pace».

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