Gli Stati Uniti temono, e lo fanno trapelare alla stampa, che Israele non abbia un obiettivo militare strategico chiaro nella guerra contro Hamas. Più che un obiettivo manifesto sembra ci sia solo voglia di rivalsa con le armi dopo la sanguinosa mattanza del 7 ottobre.

Possibile? Il presidente americano, Joe Biden, che ha parlato recentemente alla nazione dallo Studio ovale di ritorno dal viaggio in Israele, ha messo in relazione tra loro il conflitto ucraino e la crisi mediorientale: un salto di qualità che trasforma i problemi geopolitici in una guerra contro l'occidente.

Quindi gli Usa non si limitano a sostenere Israele e a mediare le posizioni più estreme, ma ora intervengono direttamente nella gestione del conflitto mettendo sotto “tutela” l’alleato. Inoltre Washington non vuole assolutamente che il conflitto si estenda a livello regionale coinvolgendo l’Iran.

Mosul o Fallujah?

Israele deve decidere nella guerra ad Hamas se optare tra il modello applicato nella città di Mosul, nel Nord dell’Iraq o quello di Fallujah. Lo hanno riferito fonti Usa al sito del Times of Israel, secondo cui l'amministrazione Biden è preoccupata che Israele possa fallire i compiti militari a Gaza e che l'esercito non sia ancora pronto per l'invasione di terra.

La scelta - hanno aggiunto le fonti - è se vuole eliminare Hamas con un mix di attacchi mirati con forze speciali così come fecero con i soldati iracheni e curdi a Mosul nel 2017. Oppure lanciare una massiccia invasione di terra come quella avviata da iracheni e britannici a Falluja nel 2004. Un funzionario israeliano ha detto al Times of Israel che i ministri del gabinetto hanno ripetutamente indicato Fallujah come un esempio del tipo di operazione che vorrebbero vedere lanciata dall'Idf (l’esercito israeliano) a Gaza.

Entrambe le scelte comporterebbero pesanti perdite, anche se il modello di Fallujah sarebbe molto più sanguinoso, hanno detto i funzionari statunitensi al Times, aggiungendo che proprio per questo molti al Pentagono preferiscono il modello di Mosul.

Il New York Times ha riferito domenica che l'amministrazione Biden vorrebbe più tempo per la preparazione per contrastare eventuali potenziali attacchi contro obiettivi statunitensi nella regione da parte di gruppi con sede in Iran, eventi a bassa intensità che pensa possano aumentare in futuro.

Un generale a tre stelle 

Washington teme che Israele non abbia un piano d'azione chiaro per invasione Gaza e per aiutare l’alleato avrebbe deciso di mandare dei consulenti militari così come fece in Vietnam.

Tra i militari del Pentagono che Washington sta inviando in Israele c’è James Glynn, generale dei Marine a tre stelle esperto in guerriglia urbana. Un'esperienza sul campo ottenuta alla guida delle forze speciali durante la guerra contro l’Isis a Mosul. In precedenza il generale partecipò ai combattimenti a Fallujah, una delle pagine più sanguinose e controverse, della guerra in Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein. La battaglia, condotta tra il novembre e il dicembre 2004 dai marines contro gli insorti iracheni, è stata «uno dei più pesanti combattimenti urbani in cui i Marines statunitensi siano stati coinvolti».

Confermando lo scoop di Axios della partenza di Glynn, il portavoce del consiglio per la Sicurezza Nazionale, John Kirby, ha affermato che il generale e gli altri ufficiali «hanno l'esperienza che è appropriata per il tipo di operazioni che Israele sta conducendo». 

Ovviamente Washington ha voluto sottolineare che i consulenti militari non avranno alcun ruolo effettivo nei combattimenti, secondo fonti citate dal New York Times ma resta un segnale della preoccupazione dei militari Usa per «la mancanza di obiettivi militari raggiungibili» da parte di Israele che si sta preparando ad una vasta operazione di terra in una zona densamente popolata dove Hamas ha una enorme rete di tunnel.

Altre fonti Usa poi sottolineano come il ruolo di Glynn sarà anche quello di consigliare agli israeliani vie per ridurre il numero di vittime civili durante la guerriglia urbana che l'invasione di terra di Gaza, una striscia di terra di poco più di 360 km2 dove vivono oltre 2,3 milioni di persone, è destinata a scatenare. Questa è la vera scommessa per evitare che il conflitto si estenda.

E dopo che succede?

In effetti dopo che Israele avesse deciso l’attacco via terra e conquistato la Striscia di Gaza cosa accadrebbe? Rimarrebbe aperta la questione della gestione politica della Striscia.

L’Autorità palestinese di Abu Mazen non potrebbe prendersi il controllo di Gaza in seguito all’intervento israeliano perché rischierebbe di diventare un governo fantoccio, ipotesi che Abu Mazen, già in difficoltà nei sondaggi, non accetterà mai.

Quindi Israele dovrebbe inventarsi una nuova formazione politica o tornare a fare un’occupazione diretta che in passato si è dimostrata una situazione non gestibile nel medio periodo.

Nelle precedenti tornate di queste incursioni nella Striscia di Gaza, l’idea era quella di indebolire Hamas, ma di tenere in piedi il suo governo a Gaza. Sia per mancanza di alternative nel terreno che per favorire le divisioni interne palestinesi, che giovano ad Israele. 

Adesso però il premier israeliano, Benjamin Netanyahu deve annientare Hamas per sperare in qualche forma di sopravvivenza politica. Ma se è chiaro l’obiettivo (distruggere Hamas da Gaza) lo è molto meno la strategia per raggiungerlo.

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