La riforma contestata è stata bocciata dalla sentenza, molto attesa. Decisivo il no della Corte all'emendamento della cosiddetta “clausola di ragionevolezza”, che l’esecutivo di Tel Aviv aveva qualificato come una legge fondamentale.
È un brutto colpo per il premier ed ex militare Benjamin Netanyahu, detto Bibi, che sulla contestatissima riforma della giustizia aveva puntato molto del suo prestigio politico dopo 14 anni al potere quasi ininterrottamente. La Corte Suprema di Israele ha deciso ieri di annullare un elemento chiave della sua riforma giudiziaria: l'emendamento della cosiddetta “clausola di ragionevolezza”, che l’esecutivo di Tel Aviv aveva qualificato come una legge fondamentale. Otto dei 15 giudici che hanno esaminato la questione si sono espressi contro quell'emendamento (che di fatto annullava la “clausola”). Dodici dei 15 giudici hanno inoltre stabilito che la Corte suprema ha la prerogativa di annullare una legge fondamentale.
Una questione politica
La questione ovviamente oltre che giuridica è eminentemente politica e sferra un duro colpo al premier. Più in dettaglio in una nota, la Corte Suprema israeliana riferisce che otto giudici su 15 si sono pronunciati contro un emendamento approvato dal parlamento a luglio che eliminava appunto la cosiddetta clausola di "ragionevolezza", utilizzata dalla Corte per annullare le decisioni del governo ritenute incostituzionali.
«Ciò è dovuto al danno grave e senza precedenti alle caratteristiche fondamentali dello Stato di Israele come Stato democratico», si legge nella nota. Insomma in gioco per l’Alta corte era la stessa democraticità del paese.
Il primo ministro Benjamin Netanyahu aveva a lungo sostenuto in numerosi interventi anche nel parlamento monocamerale che l'ampio pacchetto di riforme della Giustizia, presentato circa 12 mesi or sono, era assolutamente necessario per riequilibrare i poteri tra magistrati e politici.
Ma i suoi oppositori avevano sostenuto che l'iniziativa avrebbe aperto la strada a un governo autoritario e avrebbe potuto essere utilizzata dallo stesso Netanyahu per annullare possibili condanne a suo carico. Un'accusa che il premier ha sempre negato accusando l’opposizione di scorrettezza. La riforma aveva bloccato la vita del paese per mesi a causa di numerose manifestazioni di piazza che avevano spaccato la società civile israeliana.
Le proteste in piazza
Il ministro della Giustizia, Yariv Levin, ha criticato duramente i giudici supremi per «aver preso nelle loro mani tutti i poteri, che in un regime democratico sono divisi in modo equilibrato tra i tre rami», esecutivo, legislativo e giudiziario. Il Likud, il partito di Netanyahu, ha inoltre sottolineato in una dichiarazione l’inopportunità di arrivare a questa sentenza mentre è in corso la guerra contro Hamas.
Prima del 7 ottobre, decine di migliaia di manifestanti si erano radunati settimanalmente contro le riforme del governo, e le proteste di piazza si sono concluse proprio a causa dello scoppio della guerra tra Israele e Hamas. La stessa guerra che secondo il governo potrebbe durare ancora mesi.
Il fronte interno
La "clausola di ragionevolezza" – l'unico provvedimento finora adottato della contesta riforma giudiziaria del governo Netanyahu – è stato anche uno dei passi più controversi poiché tentava di frenare il controllo del potere giudiziario sul governo.
Quando a luglio gli alleati di Netanyahu hanno votato per eliminare la “clausola di ragionevolezza”, i parlamentari dell'opposizione sono usciti dall'aula gridando "vergogna". La clausola è stata citata solo in una manciata di decisioni giudiziarie, inclusa una sentenza di alto profilo dello scorso anno che ha vietato a un alleato di Netanyahu di prestare servizio nel gabinetto a causa di una precedente condanna per evasione fiscale.
La presa di posizione dei giudici supremi “affonda” almeno per ora la riforma della giustizia fortemente voluta dal premier e riapre le polemiche politiche sull’opportunità di tale modifica. Un duro colpo ai piani di Netanyahu che ne esce indebolito anche sul piano personale in un delicato momento del conflitto contro Hamas nella Striscia di Gaza che ha provocato 21mila morti di cui due terzi donne e minorenni e con la questione della liberazione degli ostaggi ancora aperta nonostante gli sforzi congiunti di Egitto e del Qatar. In questo contesto è arrivata ieri un’altra notizia, anticipata dal New York Times: l’esercito israeliano starebbe pensando di smobilitare cinque brigate dalla Striscia di Gaza, almeno temporaneamente, per via degli alti costi dell’operazione.
Ora questi sviluppi interni potrebbero indebolire la posizione intransigente di Netanyahu e convincerlo ad aprire al negoziato per la liberazione degli ostaggi ancora in mano ad Hamas.
© Riproduzione riservata