La Cina continua a interrogarsi su quali siano le migliori risposte alla «prepotenza economica» degli Stati Uniti, come il premier Li Qiang ha definito l’imposizione dei dazi da parte di Donald Trump.

Oltre a possibili divieti sull’import di pollame, in relazione all’emergenza aviaria negli Usa, e a restrizioni importanti su soia e sorgo Pechino starebbe valutando una chiusura per il cinema americano.

Il documento

Due dei principali blogger cinesi hanno infatti condiviso tramite i loro canali WeChat un documento che attesterebbe l’intenzione del governo di «ridurre o vietare l’importazione di film statunitensi». L’indiscrezione è stata riportata da Liu Hong, redattore senior della principale agenzia stampa cinese sostenuta dal governo, e Ren Yi, influente nipote di Ren Zhongyi, ex capo del partito comunista della provincia del Guangdong.

I due hanno riportato lo stesso documento citando fonti anonime vicine al governo e per questo a conoscenza delle prossime mosse in risposta agli Stati Uniti.

Secondo i due blogger, la Cina starebbe dunque valutando una chiusura totale al cinema americano in risposta alle minacce di Trump. Si tratterebbe di una misura estrema che potrebbe entrare in vigore come reazione concreta e simbolica alla decisione del presidente americano di innalzare i dazi sulle importazioni provenienti da Pechino prima al 104 per cento e il giorno dopo al 125 per cento, una mossa che ha provocato forte tensione tra le due potenze.

Decisione arrivata dopo che il governo cinese ha scelto di imporre a sua volta dei controdazi ai prodotti americani, in un’escalation di misure protezionistiche che rischia di aggravare ulteriormente la già complessa guerra commerciale in atto tra i due paesi.

La chiusura ai film statunitensi rappresenterebbe quindi non solo un atto economico, ma anche culturale e politico, con cui Pechino cercherebbe di colpire simbolicamente uno dei settori più rappresentativi dell’influenza americana nel mondo.

Una decisione del genere potrebbe avere conseguenze pesanti per Hollywood, visto che si tratta del secondo mercato al mondo per quanto riguarda l’industria cinematografica. Nonostante negli ultimi anni si sia registrato un calo nei guadagni in quel paese, dovuto all’incremento dell’offerta di film prodotti in Cina, gli introiti sono ancora particolarmente elevati e necessari.

Una stretta sui film stranieri è già in atto da tempo con l’obiettivo di sviluppare un mercato cinematografico cinese. Attualmente, infatti, le pellicole estere possono sbarcare in Cina solo passando da due imprese statali e vengono importate con due modalità: entro il limite massimo di 34 pellicole a ripartizione degli incassi, dove gli studi esteri ricevono circa il 25 per cento degli incassi al botteghino, o tramite acquisto dei diritti per una somma fissa senza partecipazione ai profitti.

Una forma di protezionismo che sta in parte dando i suoi frutti, visto che a febbraio il lungometraggio cinese Ne Zha 2 è diventato il primo film non americano a incassare più di un miliardo di dollari, attestandosi come il film più visto di sempre in Cina.

Ma il cinema americano in Asia continua a essere particolarmente forte, come dimostrano gli ultimi dati. Lo scorso fine settimana, ad esempio, ha esordito nelle sale il film A Minecraft Movie, che in soli due giorni ha incassato solo in Cina oltre 14,5 milioni di dollari, più del dieci per cento degli incassi globali (144 milioni di dollari nel primo weekend). Lo scorso anno, Godzilla x Kong: The New Empire aveva incassato solo sul mercato cinese oltre 130 milioni di dollari.

La situazione

Al momento non ci sono certezze su un possibile stop al cinema americano, ma l’indiscrezione, rilanciata anche da Bloomberg, ha già suscitato i timori di Hollywood, che vorrebbe scongiurare l’uscita forzata dal mercato cinese. Al momento però, in assenza di notizie ufficiali, sembra prevalere la calma.

La vicinanza dei due blogger al partito comunista e al governo cinese, per legami dell’agenzia stampa nel primo caso e per rapporti familiari nel secondo, da un lato lascia intendere che i documenti trapelati siano ufficiali ma dall’altro che ciò potrebbe rivelarsi una strategia del governo cinese. La diffusione della notizia attraverso documenti pseudoufficiali potrebbe essere solo l’ennesima minaccia verso gli Stati Uniti di Donald Trump.

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