- Comunque vada «questo referendum ha un significato storico» per il presidente della Commissione elettorale centrale taiwanese, Lee Chin-yung, perché «i cittadini possono esercitare per la prima volta la revisione della costituzione».
- La carta fondamentale della Repubblica di Cina (nome ufficiale di Taiwan) dichiara che Taiwan e la Cina continentale sono entrambe parte della Cina, una posizione simile al principio “una sola Cina” difeso dal partito comunista.
- Pechino teme che in futuro gli indipendentisti del Dpp possano essere tentati di ricorrere proprio a un referendum costituzionale per dichiarare l’indipendenza dell’Isola.
Da oggi la giovane democrazia taiwanese non è più un cattivo, ma un pessimo esempio per i cittadini del suo dirimpettaio autoritario, la Repubblica popolare cinese. Sull’isola, infatti, 19,3 milioni di elettori sono chiamati alle urne non solo per rinnovare i governi dei 22 distretti amministrativi, ma anche per il primo referendum costituzionale, sull’età per l’elettorato attivo e passivo. La riduzione da 20 a 18 anni di quella che dà diritto al voto e da 23 a 18 per candidarsi passerà solo se voterà “sì” almeno il 50 per cento più uno degli aventi diritto, assai improbabile per un quesito associato a una consultazione locale, nella quale la partecipazione è tradizionalmente bassa.
Comunque vada «questo referendum ha un significato storico» per il presidente della Commissione elettorale centrale taiwanese, Lee Chin-yung, perché «i cittadini possono esercitare per la prima volta la revisione della costituzione». Al contrario secondo il portavoce dell’Ufficio per gli affari di Taiwan del governo cinese, Ma Xiaoguang, si tratta di «uno stratagemma delle autorità del Partito progressista democratico (al governo, ndr), con l’obiettivo di modificare la costituzione per aprire la strada al loro tentativo separatista».
La carta fondamentale della Repubblica di Cina (nome ufficiale di Taiwan) dichiara che Taiwan e la Cina continentale sono entrambe parte della Cina, una posizione simile al principio “una sola Cina” difeso dal partito comunista. Pechino teme che in futuro gli indipendentisti del Dpp possano essere tentati di ricorrere proprio a un referendum costituzionale per dichiarare l’indipendenza dell’Isola.
Il pronipote del generalissimo
Nel futuro prossimo ci sono però soprattutto le elezioni presidenziali e politiche del 2024, quando scadrà il secondo mandato della presidente Tsai Ing-wen. E i risultati attesi per sabato sera saranno importanti anche per capire chi all’interno del suo Dpp potrà candidarsi a succedere alla paladina dei diritti civili inflessibile avversaria di Pechino, e chi tra i nazionalisti del Kuomintang potrà aspirare a conquistare la presidenza. Si vota nei 22 distretti amministrativi nei quali è divisa l’ex Formosa, sei dei quali hanno lo status di “municipalità speciale” con oltre 1,25 milioni di abitanti, e contano ovviamente di più per misurare i rapporti di forza tra i due schieramenti principali (Taipei, New Taipei city, Tainan, Taichung, Taoyuan, Kaohsiung).
Il Kuomintang (che attualmente controlla 14 distretti) è favorito, anche perché i politici del partito che ha monopolizzato il potere dal 1949, dopo la sconfitta nella guerra civile, al 2016 (anno dell’avvento al governo del Dpp di Tsai), sono considerati amministratori più competenti. Se i nazionalisti – oltre alle roccaforti di New Taipei city e Taichung – riusciranno ad aggiudicarsi anche Taipei e Taoyuan, avranno ottenuto la grande vittoria alla quale puntano. E ciò potrebbe garantire al loro presidente, Eric Chu Li-luan, di diventare lo sfidante del Dpp alle presidenziali che si svolgeranno tra poco più di un anno, nei primi mesi del 2024.
Lo spauracchio cinese
Nell’altro campo un simile esito verrebbe interpretato come un voto di sfiducia nei confronti di Tsai, che potrebbe essere costretta a dimettersi da presidente del Dpp, trasformandosi in un’anatra zoppa da qui alle presidenziali. Al contrario se gli indipendentisti riuscissero a prendersi la capitale (attualmente in mano al Partito popolare) e Taoyuan, per Tsai e compagni si tratterebbe di un grande (e insperato) successo.
La battaglia più dura è quella per Taipei, dove secondo gli ultimi sondaggi il nazionalista Chiang Wan-an (43enne pronipote del generalissimo Chiang Kai-shek), l’indipendente Vivian Huang e Chen Shih-chung (Dpp) si contenderanno la poltrona di sindaco fino all’ultimo voto.
Anche questa volta Tsai ha giocato la carta dello spauracchio cinese, che ha funzionato benissimo nel 2016 e, ancora meglio, nel 2020, quando i taiwanesi le hanno attribuito il secondo mandato con la partecipazione più alta di sempre (74,9 per cento degli aventi diritto).
I media locali l’hanno criticata per aver legato la sopravvivenza del paese a elezioni locali. Ma nessuno ha dimenticato le esercitazioni militari dell’estate scorsa, quando uno dei missili dell’esercito popolare di liberazione che hanno sorvolato l’isola è passato proprio sulla capitale Taipei. Per Tsai solo il partito al governo può garantire la difesa dalla “minaccia cinese” non certo quelli del Kuomintang, da tempo concilianti con Pechino.
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