La condanna del figlio del presidente potrebbe essere una vittoria propagandistica per Trump. Ma la posizione è in tensione con la battaglia contro la “caccia alle streghe”. Vince la confusione
Con tempi insolitamente rapidi è arrivata la condanna per Hunter Biden, unico figlio superstite del primo matrimonio dell’attuale presidente. Rischia fino a venticinque anni per aver comprato un’arma quando era tossicodipendente, nel 2018, ma lo sapremo soltanto dopo la lettura della sentenza. Non abbiamo ancora l’entità della condanna, dato che prima ancora ci deve essere il passaggio davanti all’ufficiale addetto alla sorveglianza per capire ancora meglio le circostanze che hanno portato a commettere il crimine. Ed entro qualche mese ci dovrebbe essere l’ultimo verdetto, anche se, essendo il figlio di Joe Biden incensurato, non dovrebbe essere particolarmente gravoso.
Ciò che stupisce, invece, è che i repubblicani non stiano utilizzando la condanna per attaccare il candidato democratico. Anzi, stanno procedendo in ordine sparso.
La ragione principale è la condanna di Donald Trump di fine maggio che ha lanciato un importante argomento per la campagna elettorale dei repubblicani: il sistema giudiziario è corrotto perché ha fatto sì che Trump venisse perseguitato in una caccia alle streghe giudiziaria ordita dal procuratore generale Merrick Garland.
L’ennesima teoria del complotto, che però ha una grande presa sull’elettorato. Questa condanna sul figlio del presidente, quindi, getta acqua sul fuoco. E pazienza se per anni l’ex presidente Trump ha usato lo slogan “Dov’è Hunter?” per mettere il dito nella piaga delle sue pendenze giudiziarie. Oggi l’obiettivo è un altro e sarebbe stato quasi meglio, per il messaggio politico, che l’erede di Biden venisse assolto. Ovviamente tutto ciò non ferma la campagna elettorale di Trump dall’affermare che Hunter Biden sia stato in realtà trattato coi guanti bianchi (anche se il padre ha rimarcato che in nessun caso verrà graziato).
Interpretazioni
Lo sfidante evidenzia sul social Truth come questo processo sia poca cosa rispetto ad altri presunti “crimini” commessi dalla “Biden Crime Family”. Giudizio più sfumato ma cerchiobottista quello dello speaker della Camera Mike Johnson. La condanna è giusta perché le prove a carico di Hunter Biden erano «schiaccianti», però ciò non toglie che in altri casi il processo sia stato ingiusto e politicizzato. Il riferimento qui è abbastanza ovvio e diretto.
C’è anche chi, come la deputata newyorchese Elise Stefanik, ex moderata convertita a combattente trumpiana, punta il dito contro un patteggiamento andato male che ha dato origine a questo processo contro Hunter, così come a un altro procedimento nei suo riguardi che partirà in autunno. Quell’accordo, secondo Stefanik, era prova della corruzione del dipartimento di Giustizia, ed è stato solo per lo zelo della giudice Maryellen Noreika (nominata da Trump) che si è fatta luce sui “crimini” di Hunter Biden. C’è anche chi però critica la sentenza: uno è l’ipertrumpiano Matt Gaetz, che l’ha definita «stupida».
La ragione è che il rappresentante della Florida è fautore di un’interpretazione molto estensiva del secondo emendamento, e quindi pensa che non ci debbano essere ostacoli di sorta all’acquisto di armi. Meno che mai legati all’assunzione di sostanze. Ancora più bizzarro è il giudizio del deputato del Kentucky Thomas Massie che ha scritto sui social: «Hunter Biden dovrebbe essere in cella per molti motivi, possedere un’arma non è uno di questi». Nessuna linea unitaria sulla questione. Eppure, è anche la prima volta che il figlio di un presidente in carica viene condannato, e potenzialmente la cosa sarebbe un argomento quantomeno per far dimenticare momentaneamente i guai giudiziari del tycoon.
Ciò dimostra però come proprio la fedeltà a Donald Trump sia l’unico collante di un partito profondamente frammentato, dove sulle altre questioni regnano i più assoluti caos e mancanza di unità di una formazione politica profondamente trasformata dall’opa ostile lanciata dal tycoon e dai suoi alleati.
Il voto afroamericano
Questo punto infatti cozza profondamente con una delle strategie per conquistare nuovi segmenti elettorali: secondo lo stesso candidato repubblicano, infatti, il suo essere “vittima della giustizia” lo rende più appetibile all’elettorato afroamericano. Per quanto questa idea possa sembrare lunare, in realtà sta funzionando, in parte: siamo ormai lontanissimi dal 90 per cento e oltre di sostegno dei neri d’America a Barack Obama nel 2012.
Parte dei maschi adulti non si vergogna più di esprimere idee conservatrici, e per questo figure politiche come il senatore del South Carolina Tim Scott cercano a ogni costo di conquistare questa minoranza all’interno di quella che è la comunità normalmente più fedele ai dem. E pazienza se non si può fare facile propaganda sui guai di Hunter Biden.
Vale molto di più il voto di chi qualche anno fa ha sostenuto Obama e oggi, deluso dai dem, si rivolge a un altro candidato di cambiamento sia pur molto diverso come Donald Trump.
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