Il presidente parla per un’ora e quaranta al Congresso, dalla presa della Groenlandia all’ideologia woke: ma il fact-checking è impietoso. Dai sommi giudici intanto arriva una doccia fredda per la Casa Bianca: anche due conservatori hanno votato contro il decreto del governo
Donald Trump fa iperbolici proclami sull’amministrazione, ma deve fare i conti con i poteri che controbilanciano il suo esecutivo senza argini né confini. Dopo il discorso al Congresso in seduta comune, mercoledì è arrivata una doccia fredda alla Casa Bianca: la Corte suprema, infatti, ha stabilito che l’amministrazione non può congelare i fondi già autorizzati dal Congresso.
La massima corte ha rifiutato la richiesta di Trump di congelare circa 2 miliardi in fondi per l’estero dell’agenzia Usaid, ordinando a un tribunale federale di «chiarire quali obblighi il governo deve ottemperare» in questi casi. Hanno votato con i tre giudici liberal anche due conservatori, il presidente John Roberts Jr. e Amy Coney Barrett, nominata da Trump.
Il voto mostra due fattori. Primo: il potere della Casa Bianca, che si fonda su una certa interpretazione costituzionale del ruolo dell’esecutivo, non è senza limiti. Anzi, i limiti si stanno manifestando in modo sempre più evidente. Secondo: la Corte suprema, benché composta da una grande maggioranza di conservatori, non sostiene acriticamente le politiche del presidente, come già dimostrato in altre occasioni. In poche ore sono passati in sequenza sulla scena l’infinito desiderio di potere di Trump e i limiti imposti dalle istituzioni.
Un’ora e quaranta
Non c’era bisogno di una prova lunga un’ora e quaranta minuti per confermare che Trump non è mai uscito – e non ha alcuna intenzione di uscire – dal registro del comizio e dall’eccitazione degli istinti polarizzanti della sua base come unica modalità di comunicazione.
Il discorso al Congresso in seduta comune di martedì notte – non un vero “stato dell’Unione”, perché il presidente si è insediato alla Casa Bianca nell’anno corrente – ha ribadito il percorso di radicalizzazione di un presidente che sta prendendo a martellate il paese (e il mondo) con l’idea di ricostruirlo daccapo secondo nuovi criteri. Se lo scopo di questi rabbiosi sermoni collettivi a metà fra la pubblicità e il manifesto di una rivoluzione è paralizzare gli avversari e alzare la temperatura del mondo Maga, il discorso al Congresso è stato efficace. Estremamente efficace.
Com’è solito fare, Trump ha parlato e straparlato di qualunque argomento, proponendo diverse dichiarazioni fuorvianti o false che sono ormai entrate nella grammatica presidenziale, ma ne ha anche tirate fuori di inedite e fantasiose.
Molto spazio lo ha dedicato a questioni che non sono solo dogmi per i suoi adepti, ma raccolgono consensi nella maggioranza del paese. Primo, l’accesso di maschi biologici alle gare sportive femminili, battaglia esibita con la forza della testimonianza di Payton McNabb, una giovanissima pallavolista che è rimasta parzialmente paralizzata dopo essere stata colpita da una violenta pallonata da un’avversaria che era biologicamente maschio. «D’ora in poi le scuole cacceranno gli uomini dalle squadre femminili, oppure perderanno tutti i fondi federali», ha detto Trump, che ha fatto di questa vicenda il perno di una cavalcata strappa applausi contro i corsi DEI e l’ideologia woke.
Il secondo blocco identitario del discorso è stato quello legato alla campagna tambureggiante per tagliare i costi e sventrare la burocrazia federale, il territorio dove si muove liberamente Elon Musk, un uomo «che tutti qui apprezzano», anche quelli che «non vogliono ammetterlo».
Trump ha accuratamente selezionato alcuni dei programmi più improbabili finanziati dal governo – fra cui 40 milioni di dollari per «l’inclusione sociale dei migranti sedentari», 8 milioni per «rendere i topi transgender» e 8 milioni per promuovere i diritti Lgbtq+ nella «nazione africana del Lesotho, che nessuno ha mai sentito nominare» – e ha costruito una carrellata implacabile per promuovere il ritorno al «senso comune», altro concetto ricorrente.
Fact-checking
Sul lavoro di razionalizzazione e scrupolosa ricerca di sprechi e frodi le parole di Trump non passano una minima operazione di fact-checking. Il presidente dice che sono stati scovati «centinaia di miliardi di dollari in frodi», ma secondo lo stesso sito di Doge ha generato 105 miliardi di dollari, dei quali soltanto 20 appaiono documentati. E anche quei 20 sono molto dubbi, perché il sito di Doge viene aggiornato periodicamente, ma molti contratti che in un certo momento vengono dati come cancellati poi magicamente riappaiono. Domenica scorsa, ad esempio, sono scomparsi 4 miliardi dal conto dei risparmi che l’agenzia aveva dichiarato.
Sull’Ucraina Trump ha reiterato la stima fuori proporzione dei «milioni di vittime», e ha detto nuovamente di avere eliminato la regolamentazione dell’amministrazione Biden sull’obbligo di produzione di una quota di auto elettriche, quando invece le norme in questo senso sono ancora in vigore. E la lista di omissioni, travisamenti e indicazioni fuorvianti è molto lunga.
Nel discorso fluviale, il presidente ha tirato fuori anche la Groenlandia e Panama, altri temi classici che però ultimamente sono stati sommersi da più pressanti preoccupazioni internazionali. Abbiamo bisogno della Groenlandia per «la sicurezza mondiale» e «penso che l’avremo, in un modo o nell’altro», ha detto, e allo stesso modo ha promesso di riprendere il canale di Panama, dossier sul quale ha anche messo nel mirino il segretario di Stato, Marco Rubio, dandogli la responsabilità dell’operazione: «Buona fortuna, Marco. Adesso sappiamo a chi dare la colpa se la cosa finisce male».
La risposta dem
La realtà è che, di fronte a tanta efficacia teatrale, le risposte dei democratici possono poco, almeno a parole. Ci ha provato Elissa Slotkin, giovane e brillante senatrice del Michigan, a cui è stato affidato il tradizionale “rebuttal”, il discorso che l’opposizione pubblica in risposta allo stato dell’Unione.
Slotkin, portavoce di una corrente centrista che si sta affermando a sinistra, ha castigato Trump con toni pacati e senza iperboli, spiegando al popolo americano che «tutti soffriranno» per le politiche di questa amministrazione.
Slotkin, ex analista della Cia, ha insistito anche sulla politica estera: «Dopo lo spettacolo nello Studio Ovale la settimana scorsa, Reagan si sarà rivoltato nella tomba. Tutti vogliamo la fine della guerra in Ucraina, ma Reagan ha capito che la vera forza richiede che l’America combini la sua forza militare ed economica con la chiarezza morale».
E proprio mercoledì la Cia ha confermato la sospensione dell’assistenza all’intelligence ucraina. A proposito di chiarezza morale.
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