- Dmitry Medvedev ha detto che la Russia non si priverà dell’opzione nucleare e seguirà la propria dottrina militare per rispondere alla resistenza ucraina sostenuta dall’occidente
- Medvedev non è nuovo alle minacce nucleari, ma la caratura del personaggio è un’illusione che fa comodo a Vladimir Putin
- Sul campo di battaglia continuano a morire gli umanitari, bersagli indiscriminati dei missili di Mosca
In un’intervista rilasciata alla giornalista russa Nadana Fridrikhson, già nota al pubblico italiano per la sua controversa partecipazione ai talk show Rai, Dmitry Medvedev ha adoperato l’ormai famosa retorica nucleare russa. L’ex presidente, oggi vicepresidente del consiglio di sicurezza federale, ha detto che Mosca «è pronta a usare qualunque tipo di arma in proprio possesso secondo i documenti dottrinali, incluso quello sulla deterrenza nucleare».
È stata molto esplicita anche la risposta di Medvedev all’invio di armi all’Ucraina da parte dei paesi occidentali: gli aiuti militari porteranno «l’Ucraina a bruciare». Nonostante la retorica russa, al novero dei paesi che invieranno carri armati Leopard 2 si è intanto aggiunto anche il Portogallo.
Le intimidazioni nucleari di Medvedev
Medvedev non ha fornito altre spiegazioni sulla minaccia nucleare: contro chi la Russia userebbe il proprio arsenale? Ripercorrendo le dichiarazioni sulle armi di distruzioni di massa di Medvedev, ci si accorge di come spesso siano vuote, ambigue, eppure terrificanti.
Già a marzo 2022, a pochi giorni dall'inizio dell’invasione del 24 febbraio, enumerò le condizioni alle quali la Russia avrebbe adoperato il proprio arsenale nucleare, il più grande al mondo con quasi 6mila testate totali. La lista comprendeva un attacco nucleare contro la Federazione o un alleato, un attacco contro infrastrutture critiche per il mantenimento del deterrente nucleare e una minaccia concreta all’esistenza dello stato russo, approssimazione coerente con la dottrina ufficiale di Mosca.
Più recentemente, il 19 gennaio, il vicepresidente del consiglio di sicurezza aveva paventato una “opzione Sansone” in caso di sconfitta militare. Riferendosi alla posizione occidentale sul prosieguo della cosiddetta «operazione militare speciale» in Ucraina, Medvedev aveva avvertito i leader schierati con Kiev del potenziale scoppio di una guerra nucleare in caso di sconfitta convenzionale russa.
Egli considerava una «conclusione elementare» quella secondo cui uno stato con questo tipo di armi non può permettersi di perdere una guerra: come Sansone con i Filistei, Mosca, ormai sconfitta, farebbe crollare i pilastri del tempio della deterrenza nucleare annientando i propri nemici.
Il personaggio Medvedev
Ma chi è davvero Dmitry Medvedev? Al momento uno dei tanti propagandisti del Cremlino, l’ennesimo uomo di Vladimir Putin a cui viene ancora riservato, in occidente, un certo grado di credibilità in virtù dell’incarico presidenziale ricoperto dal 2008 al 2012.
Medvedev, oggi anche leader del partito di maggioranza Russia Unita, è un politico praticamente fantoccio: la coabitazione nelle vesti di presidente con l’ingombrante primo ministro Putin è l’esempio di come, tanto oggi quanto allora, Medvedev fosse poco più di uno strumento retorico del vero leader, costituzionalmente obbligato a rinunciare al terzo mandato presidenziale consecutivo.
All'inizio del millennio Medvedev rappresentava la voce più aperta al dialogo con l’occidente dell’establishment russo, mentre ora, facilitato dall’assenza di un pensiero politico e strategico proprio, si è reinventato voce di un regime che ha bisogno delle minacce per sostentarsi, da un lato, e per complicare i calcoli del “nemico”, dall’altro.
La realtà
Mentre Cremlino e affiliati minacciano l’uso del nucleare, nel “mondo reale” Ucraina e Russia continuano nel loro sanguinoso conflitto, ormai prossimo all’anniversario.
Le parti hanno effettuato uno scambio: 63 prigionieri di guerra russi sono stati liberati in cambio del ritorno in patria di 116 ucraini che avevano difeso Mariupol, Kherson e Bakhmut.
Proprio a Bakhmut imperversano gli scontri: Volodymyr Zelensky promette che la città del Donetsk, o quello che ne rimane, verrà difesa dalle forze di Kiev «fino all’ultimo». Tra le fila dei russi spiccano i mercenari del gruppo Wagner che, rimpolpati dalla coscrizione di ex detenuti, incrementano la pressione sulle difese cittadine.
Contro il capo del gruppo, Yevgeny Prigozhin, la procura generale ucraina ha avviato un procedimento penale per «violazione dell’integrità territoriale ucraina» e «conduzione di una guerra d’aggressione».
Sui crimini di guerra russi, invece, il procuratore generale tedesco Peter Frank ha affermato di avere «numerose prove». L’inchiesta si concentra soprattutto sul massacro di Bucha svelato tra marzo e aprile scorso.
Le risorse finanziarie sequestrate a Prigozhin e ad altri oligarchi russi dagli Stati Uniti verranno, invece, utilizzate per fornire assistenza umanitaria al popolo ucraino, secondo quanto deliberato dal procuratore generale statunitense Merrick Garland.
Negli scontri di Bakhmut, infine, è stato ucciso da un missile russo il medico volontario americano Pete Reed, la cui ambulanza è stata colpita nel corso di un’evacuazione. Una sorte simile era toccata a Christopher Parry e Andrew Bagshaw, umanitari britannici uccisi a Soledar.
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