La guerra nella Striscia di Gaza sta consumando Israele. Tutti i piani operativi dell’esercito israeliano (Idf) messi in campo la sera del 7 ottobre prevedevano una guerra di poche settimane, nessuno si aspettava il protrarsi di una mobilitazione su vasta scala di mezzi e risorse umane entrata nel decimo mese con la prospettiva di durare ancora molto a lungo. Israele finora ha perso almeno 650 soldati, più della metà uccisi dentro Gaza. Circa 4mila uomini sono stati feriti, oltre 11mila hanno avuto bisogno di assistenza psicologica, quasi la totalità di loro è stata smobilitata.

Secondo gli esperti consultati dal quotidiano israeliano Maariv in questo momento l’Idf non è nelle condizioni di lanciare un’operazione contro gli Hezbollah, nonostante il premier Benjamin Netanyahu sembri pronto ad aprire anche questo fronte. Nella migliore delle ipotesi una campagna nel nord si concluderebbe con un pessimo accordo con la milizia libanese, non risolutivo per la sicurezza nel nord di Israele, che verrebbe raggiunto solo dopo aver pagato un caro prezzo in termini di vite umane.

L’Idf è un esercito centrato sui riservisti e sta soffrendo pesantemente il protrarsi dei combattimenti a Gaza, poiché non è strutturato per portare avanti una guerra prolungata. I soldati israeliani sono in grande maggioranza civili con un’età che va dai 20 ai 40 anni, persone addestrate per passare rapidamente dalla vita civile alla mobilitazione militare, ma solo per operazioni circoscritte e dalla durata limitata. Nessuna guerra israeliana è durata tanto a lungo nell’intensità come quella iniziata il 7 ottobre.

Frattura tra governo e Idf

Ad oggi questa guerra ha consumato molti più armamenti e soldati di quanto stimato dall’Idf in tutti i suoi piani. Secondo le fonti ascoltate dal New York Times, giunti a questo punto i generali israeliani ritengono che un cessate il fuoco è il modo migliore per liberare gli ostaggi ancora prigionieri da Hamas, e pensano che le Idf hanno bisogno di una tregua per recuperare le forze nel caso diventi necessario iniziare un’operazione via terra contro gli Hezbollah.

L’atteggiamento dei vertici delle forze armate nei confronti di un cessate il fuoco riflette un importante cambiamento del modo di pensare delle leadership militari rispetto agli ultimi mesi, quando è diventato più chiaro che Netanyahu rifiutava di impegnarsi nella stesura di un realistico piano postbellico. L’approccio del governo ha creato un vuoto di potere nell’enclave palestinese e il riemergere dei miliziani di Hamas, che ha costretto l’Idf a tornare a combattere in zone di Gaza che erano state sgomberate.

I militari hanno fatto trapelare la loro posizione parlando con la stampa, ma anche prendendo decisioni unilaterali che hanno scatenato le ire del governo Netanyahu, come la scarcerazione di Mohammad Abu-Salmiya, il direttore dell’ospedale al-Shifa liberato il primo luglio dopo sette mesi di prigionia insieme ad altri 55 detenuti palestinesi catturati dall’Idf dopo il 7 ottobre.

Negoziato

Adesso il governo israeliano ha riavviato i negoziati per un cessate il fuoco a Gaza, dopo che Hamas ha ammorbidito le sue posizioni rinunciando alla pretesa di un ritiro completo e immediato dell’Idf.

L’accordo allo studio prevede per Israele la possibilità di ricominciare la guerra qualora nella prima fase della tregua, della durata di sei settimane in cui scambiare gli ostaggi israeliani con i detenuti palestinesi, non si raggiungano accordi sulla seconda. I colloqui dovrebbero continuare questa settimana con l’invio dei negoziatori israeliani a Doha, in Qatar, dove vivono i leader politici di Hamas.

Tuttavia, una dichiarazione dell’ufficio di Netanyahu ha smorzato le aspettative di un cessate il fuoco permanente, insistendo sul fatto che qualsiasi accordo non dovrà impedire a Israele di riprendere i combattimenti fino a quando gli obiettivi di guerra non saranno raggiunti, ovvero la liberazione degli ostaggi e la totale eradicazione di Hamas da Gaza.

Domenica il ministro della Difesa, Yoav Gallant, ha detto che intanto l’Idf continuerà a combattere gli Hezbollah, a meno che la milizia libanese non raggiunga un accordo separato con Israele. Le alternative alla diplomazia sono fosche. In teoria né il patrono degli Hezbollah, l’Iran, né Israele vogliono una guerra su vasta scala, ma questo non significa che non potrebbe accadere.

Come Hamas e altri gruppi paramilitari ben armati, gli Hezbollah sanno di potersi impegnare in una guerra d’attrito molto meglio di un esercito regolare, persino di uno potente e motivato come quello dello Stato ebraico.

Basta guardare a Gaza. Dopo nove mesi l’enclave palestinese è in rovina e decine di migliaia di persone sono morte, ma gli ostaggi israeliani sono ancora nelle mani di Hamas, e per quanto danneggiata e messa all’angolo l’organizzazione è rimasta in piedi.

La guerra è stata un disastro strategico per Israele che avrà conseguenze gravi (forse irreversibili) nelle relazioni di Tel Aviv con gli alleati, anche se Netanyahu potrà sempre descriverla come una vittoria, se non altro perché gli ha permesso di restare al potere.

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