Mentre i democratici americani discutono se rimuovere o meno Joe Biden dal ticket, o perlomeno se è il caso di convincerlo a fare un passo indietro, i repubblicani hanno rispettato uno strano silenzio, almeno fino a quando nella giornata di martedì l’ex presidente Donald Trump ha tenuto un nuovo comizio a Doral, in Florida, nei pressi di uno dei suoi campi da golf. Durante 75 minuti di discorso, Trump ha arringato la folla composta da qualche centinaio di sostenitori, servendo loro il consueto menù di falsità ed esagerazioni, tardando più di un’ora rispetto alla tabella di marcia.

Non è mancato un riferimento alle elezioni “rubate” nel 2020, ma sono arrivati anche attacchi al tandem democratico. Colpito senza pietà l’avversario Joe Biden, definito con l’epiteto «sleepy» e il termine «corrotto», non si è dimenticato di attaccare anche la «ridicola» Kamala Harris, sua vice. In ogni caso, ha rincarato il tycoon «li batteremo entrambi a valanga» qualunque essa sia la scelta dei democratici «di estrema sinistra».

Dopo sono arrivate altre sparate: una sulle nazioni straniere «che ci mandano la maggior parte dei loro criminali», ma pure una sul bacon «ormai troppo caro» e «gli americani non possono più permetterselo» per colpa delle «tasse di Biden».

Successivamente ha toccato anche il tema della sicurezza nelle città governate dai dem, dove secondo una sua invenzione i turisti non possono vedere il memoriale di Jefferson o di Lincoln senza venire «stuprati o derubati» e poi anche un cenno alle auto elettriche che sono una «truffa» per i cittadini, a causa dei lunghi tempi di ricarica.

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La vicepresidenza

Quello che è mancato è il nome del vicepresidente che avrebbe scelto per novembre: da settimane gli analisti si chiedono quando sarebbe arrivato l’annuncio.

Si va dal senatore della Florida Marco Rubio, che però sarebbe incompatibile con Trump perché entrambi attualmente residenti nel Sunshine State, al senatore dell’Ohio J.D. Vance, oppure il governatore del North Dakota Doug Burgum, senza dimenticare la deputata di New York Elise Stefanik.

In altre occasioni Trump aveva sostenuto di aver già preso la sua decisione, senza averla ancora rivelata. È possibile che l’annuncio arrivi il prossimo lunedì, quando inizierà la convention di Milwaukee.

Altri elementi mancanti dal comizio della Florida, dove le lungaggini del tycoon in alcuni momenti hanno annoiato i supporter, sono le scelte che verranno fatte sull’aborto durante il suo mandato così come sono mancati i riferimenti al discusso Project 2025.

In questo saggio scritto da molteplici autori sotto la direzione del think tank ipertrumpista Heritage Foundation, si delinea un piano particolareggiato per la trasformazione autoritaria delle strutture federali del governo americano per installare nuovi fedelissimi, imporre nuovi insegnamenti nelle scuole, proibire l’uso della pillola abortiva e impedire a livello federale la transizione di genere.

Trump nei giorni scorsi ha smentito di conoscere le persone coinvolte, anche se uno degli autori, Russell Vought, è già stato il suo direttore dell’Ufficio Management e Bilancio e si occuperà delle politiche amministrative alla Convention Repubblicana. Vought, un cristiano nazionalista ostile all’immigrazione e ai vaccini, è solo una delle 140 persone che hanno scritto il Project 2025 e che in qualche modo sono state al servizio di Trump durante il quadriennio presidenziale.

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Il pressing su Biden

Trump ha incontrato il premier ungherese Viktor Orbán che al momento ha la presidenza di turno dell’Unione Europea e negli scorsi giorni ha avuto dei vertici con il presidente russo Vladimir Putin e il leader cinese Xi Jinping.

In questo modo, punta a una sorta di controprogrammazione alla conferenza stampa del meeting Nato di Joe Biden, mentre il leader ungherese pretende di rappresentare i ventisette paesi Ue.

Un’ipotesi decisamente negata in queste ore anche dal ministro degli esteri Antonio Tajani che ha sottolineato come l’Unione «non interferisce con le campagne elettorali» e che Orbán non rappresenta le istituzioni europee in questa veste.

Nel campo avverso invece la quiete intorno alla candidatura di Joe Biden è durata solo poche ore: il commento di Nancy Pelosi sulla decisione «che il presidente deve prendere» insieme all’editoriale sul New York Times scritto da George Clooney hanno nuovamente alzato la tensione all’interno dei dem.

Alcuni retroscena hanno rivelato che la star di Hollywood si sarebbe consultata con l’ex presidente Barack Obama, il quale pur «non approvando», non avrebbe nemmeno «trovato nulla da obiettare» sui contenuti del commento pubblicato sul maggiore quotidiano americano. Anche un senatore, Peter Welch del Vermont, ha pubblicato sul Washington Post un altro editoriale chiedendo al presidente di fare «un passo di lato».

Dopo il vertice Nato si capirà finalmente se l’inquilino della Casa Bianca rimarrà fermo nelle sue posizioni oppure cederà alle pressioni che ormai arrivano da più parti.

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