Nel Consiglio di sicurezza che si è riunito qualche giorno fa, il presidente Vladimir Putin ha commentato pubblicamente l’esito della commissione, preposta ad elaborare delle modifiche sostanziali alla dottrina nucleare russa.

Tra gli scenari presentati nella riunione del Consiglio, per la prima volta, anche all’opinione pubblica russa, con un messaggio indiretto agli alleati di Volodymyr Zelensky, si segnala l’ampliamento della categoria degli Stati e delle alleanze militari contro cui viene esercitata la deterrenza nucleare. In particolare, l’aggressione contro i russi da parte di uno Stato non nucleare con la partecipazione a sostegno di uno Stato nucleare, viene considerato come un attacco congiunto alla Federazione russa e il Cremlino si riserva il diritto di utilizzare armi nucleari in caso di aggressione contro la Russia e la Bielorussia in quanto membri dello Stato dell’Unione. Non solo.

Nel documento si dichiara anche che la Russia «potrebbe prendere in considerazione l’uso di armi nucleari» sulla base di «informazioni attendibili» sul lancio massiccio di missili, droni e armi d’attacco aerospaziali ovvero anche in caso in cui la Russia sia attaccata con armi convenzionali che rappresentano «una minaccia critica».

Come era prevedibile, i media e alcuni analisti hanno sottolineato l’ennesima «minaccia nucleare di Putin, ormai messo all’angolo», chiedendosi se il Cremlino ricorrerà all’atomica nel breve periodo, ma tralasciando il fatto che questa riunione del Consiglio avviene in una fase molto più delicata per l’Ucraina: una parte dell’esercito ucraino è, infatti, bloccato nella regione di Kursk, mentre l’altra parte nel Donbass sta affrontando l’avanzamento lento, ma efficace dell’esercito russo e la popolazione ucraina dovrà sopportare un inverno molto rigido dopo i numerosi attacchi russi alle infrastrutture energetiche.

La sicurezza nazionale

Tuttavia, sembra più facile parlare di “paura dello Zar” che evoca scenari nucleari apocalittici piuttosto di leggere accuratamente i testi della dottrina militare e nucleare russa che forniscono indicazioni precise sui limiti e sulle valutazioni di un possibile uso di armi nucleari da parte della triade (presidente della Federazione, ministro della Difesa e capo di Stato maggiore delle forze armate) del Cremlino da cui dipende «la sicurezza dello Stato dei cittadini russi».

Il punto di svolta nella dottrina militare russa avviene durante la presidenza di Putin che, prendendo spunto dal Concetto di sicurezza nazionale, elaborato dal Consiglio di sicurezza su richiesta del presidente Boris El’cin nel 1997, approva la pubblicazione del primo documento pubblico sulla sicurezza e difesa della Russia nel 2000 cui seguono tre aggiornamenti nel 2010, 2014 e 2020 nei quali si ribadisce l’utilizzo delle armi nucleari in caso di «aggressione contro la Federazione russa mediante armi convenzionali».

La modifica più significativa avviene con il decreto presidenziale del 2 giugno 2020 «sui fondamenti della politica statale nel campo della deterrenza nucleare» che aggiunge due criteri sulla risposta nucleare russa in caso di «attacco con missili balistici» e su «strutture di fondamentale importanza».

Tuttavia, il filo rosso conduttore di tutti i documenti della dottrina militare antecedenti alla recente proposta della commissione, è il fatto che l’uso dell’arma nucleare è previsto solo ed esclusivamente in fase difensiva e non offensiva. E su questo principio, infatti, che si è creato un lungo dibattito nei governi occidentali sull’opportunità di fornire al governo ucraino un’adeguata assistenza militare che possa determinare un attacco nel territorio russo, scongiurando, al contempo, una reazione nucleare della Russia.

Contenere l’avversario

Rispetto al periodo sovietico, il nuovo testo presentato da Putin è un documento pubblico di vitale importanza per la difesa della sovranità nazionale territoriale e il carattere difensivo è associato ad un maggiore criterio di discrezionalità dei decisori che sulla base di «informazioni attendibili» valuteranno se e come reagire con armi nucleari, abbassando di conseguenza la soglia di utilizzo dell’arma nucleare.

Ma è un altro principio della dottrina militare russa che ci offre una chiave interpretativa del perché Putin abbia chiesto di aggiornare il documento e lo abbia presentato in questi giorni. Si tratta del concetto della gestione dell’escalation che implica di monitorare i diversi livelli di conflitto per evitare di passare i limiti prefissati. Per intenderci, la situazione in Ucraina è considerata pari a una “guerra regionale” che rappresenta il limite oltre al quale si passa a quella “su larga scala”, come avverrebbe nel caso di uno scontro diretto con la Nato.

Ne consegue che qualsiasi impiego di armi per colpire infrastrutture energetiche e civili hanno lo scopo di destabilizzare l’avversario per indurlo a trattare e scoraggiare la popolazione e la minaccia dell’utilizzo di armi nucleari è considerato uno strumento di deterrenza per dimostrare che si è disposti ad aumentare la propria violenza: in tutti questi casi, la priorità è “contenere” l’avversario affinché non si oltrepassi quella linea rossa dei livelli di conflitto. È su questo punto che va intesa la dichiarazione pubblica di Putin: evitare il confronto diretto con la Nato, puntando al fear-inducement degli alleati di Zelensky in attesa della prossima mossa degli Usa.

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