Il 24 aprile è stato condannato a morte Toomaj Salehi, il rapper simbolo delle proteste anti regime. Un’ulteriore stretta in coincidenza con l’attacco a Israele
La condanna a morte in Iran del rapper Toomaj Salehi è solo l’ultimo episodio di una repressione che si è intensificata in coincidenza con l’attacco a Israele del 14 aprile. Qualche ora prima che i droni iraniani venissero lanciati verso Tel Aviv, il capo della polizia di Teheran ha annunciato l’avvio di una nuova campagna, l’operazione Nour (“luce” in persiano), contro le donne che non indossano l’hijab. «Ma il regime usa il velo per nascondere i suoi problemi. I ragazzi sono sempre più senza lavoro e l’economia è a terra», denuncia Pegah Moshir Pour, attivista italo-iraniana che nel 2023 ha portato il movimento delle donne iraniane sul palco di Sanremo e che ha da poco pubblicato per Garzanti Teheran di notte.
Il rapper condannato a morte
Fisad fil-arz, «corruzione sulla Terra». È questa l’accusa più infamante con cui le autorità della Repubblica islamica hanno condannato a morte Toomaj Salehi, il rapper da milioni di follower che dava voce al dissenso in Iran.
«Non hai notato con quanta crudeltà le tue guardie picchiano le donne? Tu sei il nemico dell’umanità e io sono il tuo nemico», cantava. Nel 2021 le autorità iraniane lo hanno considerato per la prima volta un nemico ed è stato arrestato per i suoi testi. Poi, nel 2022, per le proteste dopo la morte di Mahsa Amini. E ancora, nel 2023, per un video in cui denunciava le torture subite, 12 giorni dopo essere stato rilasciato.
«Il sistema giudiziario è ancora una volta utilizzato come arma dalle forze di sicurezza statali per reprimere il dissenso e perpetuare la repressione politica», ha denunciato il Centro per i diritti umani in Iran, ong con sede a New York. Gli avvocati hanno 20 giorni per appellarsi, mentre si moltiplicano le proteste contro la condanna.
«La polizia di Teheran e di altre città adotterà misure contro coloro che violano la legge sull’hijab», ha annunciato il capo delle forze dell’ordine lo scorso 13 aprile.
La nuova stretta
Da quel giorno molti video pubblicati sui social mostrano una maggiore presenza di camionette della polizia morale per le strade, con i suoi agenti che arrestano le donne senza velo.
Quest’ulteriore stretta è per molti analisti un modo per silenziare qualsiasi tipo di dissenso, in un momento in cui un confronto aperto con Israele potrebbe acuire le tensioni che da almeno un anno e mezzo attraversano il paese, dopo l’ondata di proteste seguite alla morte di Masha Amini, nel settembre del 2022.
«L’attacco iraniano a Israele è stato una sceneggiata che serve al regime per incutere timore. La paura del nemico esterno serve agli ayatollah per conservare il proprio potere, e non è un caso che la repressione sia aumentata nelle ultime settimane», dice Moshir Pour. L’hijab, secondo l’attivista, è una scusa: «Fatemeh Sepehri sta morendo in carcere. Nonostante sia musulmana e porti orgogliosamente il velo, ha chiesto la fine della teocrazia e per questo è stata arrestata. Il regime reprime qualsiasi tipo di dissenso».
853 esecuzioni in un anno
Secondo l’ultimo rapporto di Amnesty international, con 853 esecuzioni, il 2023 è stato un anno record per le condanne a morte, e nel 2024 ce ne sono già state 95. Le carceri iraniane, dove è rinchiusa anche la premio Nobel per la pace Narges Mohammadi, stanno diventando ormai «centri di uccisioni di massa», mentre nel paese i processi, sempre secondo il rapporto della ong pubblicato pochi giorni fa, sono «sistematicamente iniqui» e le detenzioni «arbitrarie».
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