Le prossime elezioni in Argentina dovrebbero essere le più importanti dopo quelle del 1983. In concomitanza, però, torna anche la propaganda della vecchia dittatura militare che ha caratterizzato il paese dal 1976 al 1983
In Argentina il discorso della dittatura sostituisce la storia. Alla vigilia di quella che sembrerebbe essere una delle elezioni presidenziali più importanti dal ritorno della democrazia nel 1983, vediamo qualcosa di nuovo: la propaganda della vecchia dittatura militare (1976-1983) si ripete nella campagna elettorale ed il dibattito storico è relegato all’oblio. Si torna all’idea degli “eccessi” che negano proprio la realtà del passato: il piano di sterminio sistematico e i suoi crimini contro l’umanità che hanno scatenato i processi ai militari dal 1985 in poi.
Niente di originale, piuttosto una nuova tendenza latinoamericana, europea, e nordamericana di negazionismo storico. Jair Bolsonaro in Brasile e José Antonio Kast in Cile hanno fatto lo stesso, giustificando le rispettive dittature; Vox normalizza Franco, in Italia Meloni e alleati sembrerebbero dubitare sul ruolo dei terroristi neofascisti nella strage di Bologna, negli Stati Uniti va in scena l’idealizzazione dell’epoca pre-riforma dei diritti civili.
Ritornando all’Argentina, l’attuale candidata alla vicepresidenza del partito “libertario” Libertad Avanza (La Libertà va Avanti) e futura responsabile dei settori della difesa e della sicurezza interna, Victoria Villarruel, cerca di riformulare la violenza non-statale degli anni Settanta, rivitalizzando il ruolo della dittatura genocida.
Questa reinterpretazione, non innocente, della giunta militare non è esclusiva di Villarruel, come sembrerebbero confermare le recenti dichiarazioni all’Economist del suo candidato alla presidenza, Javier Milei: «C’è stata una guerra tra un gruppo di sovversivi che volevano imporre una dittatura comunista e dall’altra parte c’erano le forze di sicurezza che si sono eccesso nelle loro azioni». Allo stesso modo, Villarruel ha dichiarato che «c’è stata una guerra qui. Se lo dimentichiamo, tutto può succedere e non ci saranno forze armate per contenerlo».
Logica fascista
In realtà, la cosiddetta “guerra sporca” non è stata una vera guerra, ma una militarizzazione illegale della repressione statale. Questa è un’espressione popolare che deve essere spiegata in relazione alla genealogia fascista del paese. Dal punto di vista storico, la guerra sporca non ha avuto come protagonisti due combattenti, ma piuttosto vittime e carnefici. Lo stato ha intrapreso la “guerra” contro i suoi cittadini.
Questo terrore sancito dallo stato aveva le sue radici nei movimenti fascisti degli anni tra le due guerre; radici che raggiungono i campi di concentramento. Gli storici parlano di terrorismo di stato, concetto negato da Villaruel: «Il terrorismo di Stato non esiste».
Ciò che Villarruel e Milei dicono è che la violenza di stato della giunta militare, sebbene eccessiva nella sua metodologia, era completamente giustificata e i suoi effetti salvarono il paese da una dittatura comunista. Secondo Milei e Villarruel, grazie all’intervento militare, il paese ha potuto preservare la propria libertà. Nello specifico, ripetono gli argomenti dei dittatori e l’ideologia del fascismo in Argentina.
Negare la scomparsa sistematica di decine di migliaia di persone; l’omicidio, il rapimento, la detenzione indefinita, la tortura e lo stupro di migliaia di altre persone; la rapina e il saccheggio dei beni privati degli scomparsi, dei rapiti e delle loro famiglie; il rapimento, la detenzione e la commercializzazione di neonati e bambini degli scomparsi, e la costruzione a livello nazionale di una rete clandestina di campi di concentramento, poiché «un’azione eccessiva» è nella migliore delle ipotesi ignorante e nella peggiore un insabbiamento e un argomento che segue la logica fascista della propaganda così ripetuta da populisti come Trump, Bolsonaro e Giorgia Meloni in Italia.
Storicamente, la violenza politica non statale in Argentina negli anni Settanta era parte di un complesso processo socio-politico globale e non era portata avanti solo da guerriglie di sinistra/comuniste. Villarruel e Milei non menzionano il rapporto tra la dittatura militare e gli eredi del gruppo Tacuara, di tipo cattolico antisemita, e soprattutto dall’organizzazione terroristica più violenta dell’Argentina: la Tripla A (Alleanza Anticomunista Argentina), che fu responsabile di più di 900 omicidi in soli due anni e funzionò come braccio para-poliziesco del governo di Juan Domingo Peron e poi Isabel Perón. Con il colpo di stato, i nuovi assassini della Tripla A disoccupati hanno trovato lavoro nel terrorismo di stato. Anche i suoi intellettuali continuarono a essere attivi.
I guerriglieri di sinistra come Montoneros ed Erp non erano alleati, sebbene fossero entrambi visti come nemici dello stato argentino. Entrambi i guerriglieri hanno commesso azioni criminali e violente e sono stati responsabili di centinaia di morti durante i governi militari e democratici; ma non furono mai neanche lontanamente vicini a instaurare il terrore nazionale, tanto meno a sconfiggere lo stato argentino ed essere vicini a prendere il potere.
Ciò non giustifica né legittima gli atti violenti e omicidi dei guerriglieri. Molte delle vittime meritano di essere ricordate e che la loro morte non venga inquadrata come il risultato di atti eroici o di resistenza. Ma esistono differenze essenziali tra i crimini commessi da organizzazioni non statali e quelli commessi da agenti statali.
Quando Villarruel sostiene che è ingiusto che i soldati argentini siano indagati e condannati per crimini contro l’umanità, la cui classificazione e non prescrivibilità è stata legiferata dopo la commissione di tali atti, dimentica che l’accusato ha agito in nome dello stato e con l’appoggio dell’apparato repressivo statale. Essi non agivano come privati cittadini, ai quali si applicano i principi garanti del diritto penale, ma come lo stato stesso. Non è ingiusto, anzi, i legislatori argentini abbiano classificato in questo modo i crimini contro l’umanità per avere uno stato più giusto.
I legami tra Milei/Villarruel e la logica fascista della dittatura vanno oltre i legami personali con i criminali. Villarruel portava i giovani nell’appartamento del dittatore Videla, suo zio Ernesto era uno degli alti ufficiali del campo di concentramento El Vesuvio e Milei lavorò come consigliere personale del generale genocida Antonio Bussi negli anni Novanta.
Nel 1976, l’ex capo di Milei disse: «Non ci fermeremo finché non avremo ucciso l’ultimo di questi codardi». Si riferiva ai dispersi. Un anno dopo, nel maggio 1977, il generale Ibérico Saint Jean, futuro governatore della provincia di Buenos Aires, spiegò questa concezione espansiva dei nemici, nonché del loro destino finale: «Prima uccideremo tutti i sovversivi, poi uccideremo tutti i suoi collaboratori, poi… i suoi simpatizzanti, poi… quelli che restano indifferenti e infine uccideremo i timidi». In una tipica proiezione totalitaria, l’attacco contro il nemico veniva presentato come un letale atto di autodifesa che gli stessi militari poi giustificarono come eccessivo ma necessario.
Nemici esistenziali
Questa negazione della realtà storica è assolutamente pericolosa per la democrazia argentina. La giunta militare prese il potere illegalmente nel 1976. Se Milei e Villarruel non hanno problemi con questo, legittimano il ruolo extracostituzionale che le forze armate affermarono di avere avuto nel corso del XX secolo per “salvare” l’Argentina da pericoli esistenziali, reali o meno, e riportare l’ordine nel paese.
Coloro che non mettono in dubbio la legalità di un colpo di stato rivelano le loro intenzioni non democratiche, come ha fatto proprio Milei con le sue bugie totalitarie affermando che il tentato colpo di stato in Brasile dell’8 gennaio è stato organizzato da Lula e sollevando dubbi sulla la legittimità delle elezioni negli Stati Uniti e in Brasile.
Quando Milei accusa Lula e il presidente del Cile Boric di essere comunisti, quando incolpa il “marxismo culturale” di tutto il declino socioeconomico dell’Argentina, e del mondo, negli ultimi 40 anni, e quando fantastica che negli anni Settanta un gruppo di sovversivi ha tentato di imporre una dittatura comunista in Argentina, Milei sta definendo quali siano i nemici esistenziali del paese. Nella sua visione, lui e la sua piattaforma politica personificano una crociata messianica contro le forze comuniste.
Questi nemici non hanno nessun posto nell’Argentina di Milei, la loro sola esistenza la mette in pericolo e in questo quadro ideologico non si può escludere la repressione e la dittatura. L’intolleranza e la violenza discorsiva di Milei e Villarruel devono essere collegate alla loro negazione delle storie passate e recenti di colpi di stato e di violenza autoritaria. Questa negazione della storia è un aspetto centrale del pericolo per la democrazia argentina rappresentato da Javier Milei.
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