Venerdì 7 marzo il Consiglio dei ministri ha approvato il nuovo schema di disegno di legge che propone di introdurre in Italia il reato di femminicidio. Altri paesi in Europa e nel mondo hanno scelto strade diverse per definirlo e per prevenirlo
Dopo l’approvazione in Consiglio dei ministri il 7 marzo del disegno di legge che introduce il reato di femminicidio, si è scatenato un forte dibattito sulla sua utilità per la diminuzione del numero degli omicidi legati al genere. Se fosse approvato dal parlamento, l’Italia sarebbe il primo paese europeo ad avere nel proprio codice penale un reato autonomo e indipendente del delitto di femminicidio.
Secondo un rapporto pubblicato venerdì 14 marzo dal Servizio analisi criminale del dipartimento di pubblica sicurezza del ministero dell'Interno, nel 2024 sono state 113 le donne uccise, di queste 99 sono state vittime di violenza familiare o comunque in ambito affettivo. Sono 61 invece le donne che hanno trovato la morte per mano del partner o dell'ex partner. Si tratta del dato più basso registrato dal 2019.
Rispetto al 2023, su base nazionale si registra un aumento dei cosiddetti «reati sentinella», nell’ambito della violenza di genere. In particolare le denunce per atti persecutori e lo stalking sono aumentati del 4 per cento, i maltrattamenti contro familiari o conviventi dell'11 per cento e i reati di violenza sessuale del 5 per cento. Questo dato «potrebbe testimoniare il risultato di una crescente consapevolezza delle vittime, che denunciano più di prima confidando nell'operato delle istituzioni, grazie anche all'introduzione di misure legislative atte a garantire loro maggiore tutela e sostegno».
Il diritto internazionale: priorità alla formazione
Un pilastro in questa materia è la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, nota come Convenzione di Istanbul, che è legge in Italia dal 2013.
In diversi passaggi si parla di prevenzione e assistenza alle donne che hanno subito violenza e di ipotesi di criminalizzazione di diversi reati, ma nulla è detto sull’introduzione dello specifico delitto di femminicidio. Si tratta di un concetto di cui in Europa nei primi anni Duemila ancora non si parlava.
In Italia, parziale attuazione alla Convenzione è stata data con il Codice Rosso del 2019, che ha rafforzato le tutele processuali delle vittime e ha introdotto nuove forme di reato nel codice penale.
Cosa fanno gli altri Stati europei?
Se la Convenzione non ne parla esplicitamente, l’European Institute for Gender Equality raccomanda agli stati l’introduzione di un reato specifico per i femminicidi, con la finalità di aumentare la visibilità del fenomeno nel sistema penale di ogni paese, nonché di adottare protocolli investigativi per gli ufficiali delle forze dell’ordine e linee guida per i pubblici ministeri per garantire approcci coerenti e armonizzati.
Negli ultimi tre anni alcuni stati europei si sono mossi in questa direzione, seguendo però strade diverse. La prima soluzione è stata quella di introdurre un’aggravante al reato di omicidio, come hanno fatto Croazia, Cipro e Malta. L’Italia sarebbe infatti il primo paese europeo ad avere un reato autonomo e indipendente che disciplina la fattispecie.
Una strada diversa è invece quella di produrre una legge più ampia sul reato di femminicidio, come quella adottata dal Belgio nell’ottobre del 2023.
Il testo belga, basato su testi europei e internazionali, distingue tra quattro diversi tipi di femminicidio: il «femminicidio intimo», quindi l’uccisione del partner, il «femminicidio non intimo», quindi per esempio l’uccisione di una sex worker, il «femminicidio indiretto», come conseguenza di un precedente reato e «omicidio di genere», come per esempio l’uccisione di persone transgender.
Vengono anche definite le diverse forme di violenza che possono precedere un femminicidio, come la violenza sessuale, la violenza psicologica e il controllo coercitivo. Il fatto che la «prospettiva di genere» sia definita anche giuridicamente per la prima volta, consente di utilizzarla durante l’adozione e l’attuazione di qualsiasi decisione, politica o misura relativa al campo di applicazione della stessa. A ciò si aggiungono una serie di misure legate non solo al monitoraggio, ma anche alla prevenzione e al supporto delle donne.
Sono molti di più invece i paesi dell’Unione europea che hanno approvato una legge che, seguendo le indicazioni della Convenzione di Istanbul, ha ridefinito il reato di stupro ponendo al centro della definizione il concetto di consenso. Per esempio in Spagna, dove la la diminuzione dei femminicidi è stata costante tra il 2003 e il 2024, non esiste un reato specifico di femminicidio.
Le origini del reato di femminicidio
La storia dell’introduzione del concetto giuridico di femminicidio negli ordinamenti nazionali parte dall’America latina, dove secondo i dati allarmanti della Commissione economica delle Nazioni Unite per l’America Latina e i Caraibi (ECLAC), nel 2023, sono state almeno 3.897 le donne assassinate, ovvero una media di 11 al giorno.
Attualmente sono diversi gli stati sudamericani che sanzionano il reato di femminicidio: Messico, Costa Rica, Guatemala, Cile, El Salvador, Perù, Nicaragua, Bolivia e Argentina.
Nel 2006, è proprio il Messico il primo paese sudamericano a introdurre nel codice penale il concetto di «violenza femminicida», definita come «la forma estrema di violenza di genere contro le donne, risultato della violazione dei suoi diritti umani, in ambito pubblico e privato, composta da una serie di comportamenti misogini che possono comportare impunità sociale e dello Stato, e può culminare in omicidio e altre forme di morte violenta della donna».
A gennaio 2025 invece il nuovo presidente argentino, Javier Milei, ha proposto di eliminare dal codice penale il reato, che era stato introdotto nel 2012. Il femminicidio era stato incorporato nel codice penale argentino a partire dal 2012 come circostanza aggravante legata alla violenza di genere e all’odio di genere.
Il comma 11 dell’articolo 80 del codice penale, punisce con l’ergastolo chiunque «uccida una donna quando l’atto è perpetrato da un uomo e vi è violenza di genere», oltre a essere il primo paese latinoamericano a implementare una quota parlamentare per le donne nel 1991.
«Elimineremo il concetto di femminicidio dal Codice penale perché questa amministrazione difende l’uguaglianza davanti alla legge sancita dalla nostra Costituzione nazionale», ha affermato Milei, «nessuna vita vale più di un’altra». L’attuale amministrazione dell’Argentina ha già abolito il ministero per le Donne.
Il diritto penale e la prevenzione
In generale comunque, il disegno di legge del governo italiano ha diviso il mondo dell’attivismo e della ricerca. «L’inasprimento delle pene è tra le cose che meno servono: certo, il femminicidio potrebbe diventare un reato a sé, ma se pensiamo che possa servire a prevenire qualcosa stiamo svuotando una vasca con un secchio senza fondo», dice Emanuele Corn, docente di diritto penale presso l’università di Pavia, che ha dedicato la sua attività di ricerca allo studio sulla violenza di genere.
«Quando parliamo di introdurre un reato, non lo facciamo mai con l’obiettivo primario di prevenire quel comportamento: la prevenzione è un effetto indiretto e solo eventuale. Il diritto penale ha un effetto punitivo, che, dove sostenuto, può accompagnarsi a un fine rieducativo. Pensiamo alla corruzione che è un reato da sempre presente nelle leggi, ma che da solo non è mai né servito né riuscito a contenere il fenomeno. Quando si è imboccata la strada della prevenzione, pochi anni fa, si è attuata una riorganizzazione di carattere amministrativo, introducendo per esempio i garanti e i responsabili in materia di corruzione. Quando parliamo, invece, di reati che coinvolgono le discriminazioni di genere, come il femminicidio, sembra che questo ragionamento sia impossibile da portare avanti e il reato diventa l’unica proposta».
A questo si aggiungono delle criticità interne alla formulazione attuale del disegno. L’impressione è che ci sia il timore di approfondire i fattori che caratterizzano il femminicidio. Per la sua complessità come fenomeno sociale «non può essere letto come il semplice omicidio di una persona con la vagina da parte di un partner con il pene», continua Corn, «bisogna comprendere cosa implica per i giudici e gli altri operatori del diritto l’inciso normativo “persona offesa in quanto donna” e per farlo bisogna usare le categorie del genere e non quelle del sesso biologico, perché solo così il nuovo reato avrebbe senso».
Insomma, manca la risposta alla domanda: quali sono i fattori che determinano un femminicidio e che lo differenziano dall’omicidio? Il corollario più immediato di questa mancanza è che il reato sarà difficilmente utilizzato dai giudici e dai pubblici ministeri, perché, molto semplicemente, se vogliono punire la morte di una donna per mano del partner con l’ergastolo ci sono già gli strumenti, senza dover ricorrere al femminicidio.
«Se posso trovare un effetto positivo nel disegno di legge sarà che si potrà aprire un dibattito nelle scuole e nelle università dove finora è sostanzialmente precluso», conclude Corn.
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