I due candidati alla presidenza degli Stati Uniti passano l’ultimo giorno in Pennsylvania, con toni molto diversi: di unità nazionale parla Kamala Harris e di richiami sinistri alle elezioni rubate Trump. In entrambi i casi, nessuno cede di un millimetro, temendo una sconfitta a sorpresa come capitato a Hillary Clinton nel 2016 per eccesso di sicurezza
Il giorno prima del voto, entrambi i candidati alla presidenza degli Stati Uniti sono passati dalla Pennsylvania. Kamala Harris ha passato tutta la giornata in quello che è considerato lo stato da vincere e che soprattutto i dem non possono permettersi di perdere, dato che il Keystone state è letteralmente l’architrave della vittoria dei dem. Senza, la situazione si complica.
Ci è stato anche Donald Trump, ma di passaggio tra North Carolina e Michigan. La situazione però è molto diversa tra i due candidati. Anche perché di mezzo, ci sono messaggi conclusivi molto diversi.
Tra minacce e speranze
Da un lato, il tycoon sta sempre più andando verso un messaggio cupo e sinistro che manda in estasi la sua base militante dura, con la sua dichiarazione più recente sulle «elezioni rubate», dove ha rincarato la dose dicendo «non dovevo abbandonare la Casa Bianca» a inizio 2021.
Dall’altro invece la candidata dem fa proprio un messaggio gioioso ed entusiasta, corroborato da un sondaggio shock che la dà in vantaggio persino in Iowa, stato conquistato per due volte da Donald Trump e la rilevazione finale del New York Times fatta in collaborazione con il Siena College la dà in pieno recupero.
Nessuno però può sapere come andranno le cose e le cose rimarranno in bilico fino all’ultimo. Il campo progressista però, dopo settimane, ha una segreta speranza: che i sondaggi siano errati così come lo erano durante le elezioni di midterm del 2022.
A rinforzare quest’impressione sono le rilevazioni fatte per le candidature al Senato, da cui dipenderà anche il potere di nomina delle nuove cariche federali da parte del nuovo presidente. Se la battaglia appare serrata per i candidati presidente nella Rust Belt, ovvero in Michigan, Pennsylvania e Wisconsin, così come in Arizona, Nevada e North Carolina, per il Senato le cose appaiono in discesa per i dem.
Il “gioco” dei sondaggi
Qualcosa non torna, dunque. C’è un unico caso, quello dell’Ohio, dove il voto disgiunto si spiega: in Ohio, dove si gioca la rielezione il veterano Sherrod Brown, in carica dal 2017, noto per le sue posizioni operaiste e protezioniste, che sarebbe quindi conciliabile con un voto a favore di Trump.
Quello che è certo e che viene rilevato da alcune testate come la progressista New Republic che c’è un fenomeno di “flooding” di sondaggi, ovverosia delle società vicine alla partito repubblicano starebbero invadendo il campo con rilevazioni frequentissime che hanno lo scopo di influenzare l’elettorato creando una situazione dove Trump sembra in vantaggio.
Lo scopo primario è quello di incitare l’elettorato a “salire sul carro del vincitore” e a scoraggiare i dem. Un secondo, più inquietante, è quello di fornire una pezza d’appoggio per corroborare all’indomani del voto una narrativa di “elezioni rubate” da parte dell’ex presidente, il quale persevera con il tenere alta la tensione sollevando dubbi sulle elezioni e dicendo anche in North Carolina che se si perderà nello stato da lui vinto due volte, «non sarà solo colpa nostra» ma anche che, se il Messico non smetterà di inviare «criminali» in America, imporrà un dazio del 25 per cento su tutte le importazioni.
D’altro canto, Kamala Harris può contare anche su un gran numero di celebrity che si esibiranno per lei come Christina Aguilera e Katy Perry e un messaggio che continua a essere di «speranza e unità», con l’ex deputata repubblicana del Wyoming Liz Cheney che a un’intervista alla tv Abc dichiara di essere «fiera» di votare per il ticket dem e che lo stesso faranno molti repubblicani che tengono di più «al futuro del proprio Paese».
Infine, c’è un ulteriore incognita che riguarda gli elettori portoricani, insultati al comizio di Trump al Madison Square Garden la scorsa settimana dal comico Tony Hinchcliffe che li ha definiti provenienti «da un’isola d’immondizia». Non a caso la candidata dem ha scelto di rilasciare l’ultima intervista preregistrata a un network ispanofono come Univision, dove spera di rintuzzare la crescita degli elettori pro-Trump tra i residenti negli Stati Uniti di vecchia data e ottenendo che il cantante Nicky Jam ritrattasse il suo sostegno al candidato repubblicano, una mossa che avviene di rado.
La guerra di propaganda
Di sicuro non c’è da parte di nessuno dei due campi contrapposti l’ipersicurezza che regnava tra lo staff di Hillary Clinton nel 2016, quando le uscite di Donald Trump sulle donne lasciavano sbigottiti i commentatori mainstream e indifferenti i suoi sostenitori e a sorpresa fu proprio l’allora outsider a prevalere.
Quello che però salta all’occhio è che i suoi comizi non sono più affollati come un tempo e i suoi discorsi appaiono sempre più incoerenti in modo incredibilmente simile a quelli di Joe Biden prima che lo scorso 19 luglio decidesse di gettare la spugna e di ritirarsi.
Così gli elettori degli stati in bilico si vedono bombardati di spot televisivi: in circa tre mesi, sono stati spesi complessivamente 2 miliardi e 300 milioni di dollari per comprare spazi pubblicitari in video, una cifra record che testimonia cosa ci sia in ballo per entrambi i candidati, che forse ormai hanno solo in comune i toni apocalittici: Harris mette in guardia sulla «fine della democrazia», Trump sulla fine «dell’America per come la conosciamo» oggi.
E le settimane successive probabilmente vedranno ulteriori episodi di scontri forse non solo verbali.
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