Grandi elettori, stati in bilico, sistema maggioritario ed eccezioni: ecco come gli americani sceglieranno il futuro presidente degli Stati Uniti. Il dibattito su un sistema che per molti è «superato». E le indicazioni su quando sapremo il risultato
L’America di Domani, le nostre analisi e gli approfondimenti sulle elezioni americane del 5 novembre
Ci sono radici storiche, che si ritrovano nella Costituzione degli Stati Uniti del 1787, e un principio generale che è questo: tutto il sistema è costruito per cercare di bilanciare il potere fra stati diversi, alcuni più grandi e altri più piccoli. L'effetto però è quello di creare potenzialmente un po' di confusione a chi non segue la politica americana. Eppure, se volessimo riassumere tutto in pochissime parole, per capire come si elegge il presidente degli Stati Uniti basterebbero più o meno quattro princìpi.
Il primo: stiamo parlando di un'elezione indiretta, quindi di fatto il voto popolare serve ad eleggere alcuni “grandi elettori”, che poi comporranno il collegio elettorale e voteranno il presidente e il vice: il loro numero varia da stato a stato (poi vedremo in che modo).
Secondo principio: il numero chiave da ricordare è il “270”, che attualmente corrisponde alla maggioranza assoluta dei voti elettorali, rispetto al totale dei 538 grandi elettori. Il candidato che riesce a raggiungere o superare questo traguardo è eletto presidente degli Stati Uniti: teoricamente l'elezione potrebbe avvenire con un solo voto di scarto, come effettivamente avvenne nel 1876, nella contestata sfida tra Rutherford B. Hayes e Samuel J. Tilden. Può persino succedere che si arrivi a una parità di 269 voti: in quel caso sarà il Congresso a dover votare il presidente (alla Camera) e il vicepresidente (al Senato).
Terzo principio: proprio per questo complesso sistema di elezione indiretta, alcuni stati in bilico assumono un valore particolarmente importante. Nel 2020, Joe Biden ha ottenuto 306 grandi elettori, rispetto ai 232 di Donald Trump. Lo ha fatto riconquistando alcuni stati chiave (come Pennsylvania, Michigan e Wisconsin) che quattro anni prima avevano votato per Trump, e vincendo anche in Georgia e Arizona, due stati tradizionalmente repubblicani. Per questo, se proprio dobbiamo fidarci dei sondaggi, ha senso guardare a chi starebbe vincendo in questi stati in bilico, senza farci ingannare dal voto popolare su base nazionale.
Anche perché poi c'è il quarto e ultimo principio base, che si ricollega a quest'ultimo aspetto. Proprio per questo sistema maggioritario e indiretto, un candidato sconfitto può aver preso più “voti popolari” rispetto a quanti ne ha presi il presidente eletto (come ad esempio avvenne nel 2016, nella sfida fra Trump e Hillary Clinton). Questo succede per il principio del “winner takes all” (il vincitore prende tutto), che regola tutti gli stati (tranne Maine e Nebraska): non conta il numero di voti popolari raccolti, ma quanti “grandi elettori” si sono conquistati. L'effetto è quello che vediamo riprodotto a ogni elezione: gli stati sulla mappa americana si colorano di rosso o di blu.
L’America di Domani, le nostre analisi e gli approfondimenti sulle elezioni americane del 5 novembre
In sostanza è tutto qui:
- elezione indiretta,
- numero chiave 270,
- importanza degli “stati in bilico”,
- “winner-takes-all” e possibile discrepanza tra voto popolare ed elettorale.
Tutto il resto sono approfondimenti e curiosità, che però forse aiutano a dare sfumature al quadro generale, per capire davvero il funzionamento del sistema elettorale americano. Lo faremo per capitoletti, così che vi sarà possibile saltare da un punto all'altro sulla base del vostro interesse.
Le ragioni storiche
La storia è importante per capire le ragioni di un sistema che potrebbe sembrare inutilmente barocco, con possibili fraintendimenti e contestazioni. Ad esempio l'elezione fra Al Gore e George W Bush, nel 2000, si è conclusa solo nel pieno di dicembre, con il pronunciamento della Corte suprema.
Il sistema elettorale si basa in sostanza sulle scelte maggioritarie che vengono fatte in ogni stato. Il principio nasce a fine Settecento con la federazione dei primi 13 stati ed è frutto di un compromesso. Si basa sul concetto che il presidente rappresenta innanzitutto gli stati e poi, solo indirettamente, anche i suoi cittadini.
È il concetto che dovrebbe garantire un maggiore potere alle realtà più piccole, che altrimenti avrebbero rischiato di finire inghiottite da quelle più grandi. E in effetti alcuni stati in bilico tornano ad essere ogni quattro anni decisivi. Questa almeno è la “versione buona” del racconto, perché c'è anche quella più oscura e forse onesta: il collegio elettorale sarebbe stato uno strumento per sovrastimare il peso degli stati del sud, il voto dei bianchi e quello degli schiavisti.
A ogni modo non mancano i critici, anche autorevoli, che ritengono che questo sistema sia ormai superato a distanza di più di due secoli. Ci sono petizioni e gruppi di attivisti che stanno tentando di proporre una riforma per abolire il collegio elettorale, in sostanza facendo passare il principio che si dovrebbe semplicemente guardare al risultato del voto popolare.
Nel corso degli anni si sono contati circa 700 tentativi di riforma o abolizione del collegio elettorale, ma sono tutti falliti. Anche perché per una modifica costituzionale serve il consenso di due terzi del Congresso e la ratifica da tre quarti degli stati. Alla fine degli anni Sessanta, ad esempio, l'emendamento proposto da Birch Bayh ed Emanuel Celler per eliminare il collegio elettorale venne approvato alla Camera ma poi bloccato al Senato.
Il numero dei grandi elettori
Ma dunque come viene determinato il numero dei grandi elettori? Il numero totale (538) equivale al numero di rappresentanti che ciascuno stato ha al Congresso. Più nello specifico, il numero di rappresentanti alla Camera varia in base alla popolazione (per queste elezioni ci si basa sul censimento del 2020), mentre i senatori sono sempre due per ogni stato.
Tre grandi elettori sono garantiti anche al distretto di Columbia (Washington D.C.), anche se non è uno stato, per effetto del 23° emendamento della Costituzione (approvato nel 1961). Per volontà dei padri fondatori, la capitale non fa parte di alcuno stato, perché doveva garantire al governo nazionale una maggiore neutralità. Prima degli anni Sessanta, i cittadini del distretto non partecipavano dunque nemmeno alle elezioni presidenziali.
Lo stato con più abitanti nel paese, la California, assegna 54 grandi elettori. Il Texas 38. Stati meno abitati, come Wyoming, Vermont, Alaska, North Dakota, South Dakota, Delaware e Montana solo 3.
Il vincitore prende tutto
Il sistema elettorale americano si basa sul maggioritario e sul principio del “winner-takes-all” (il vincitore prende tutto) per 48 stati. Fanno eccezione Maine e Nebraska che utilizzano un sistema misto, che vedremo poi nel dettaglio.
In tutti gli altri casi, il candidato che ottiene la maggioranza dei voti popolari in uno stato si aggiudica tutti i grandi elettori di quello stato, indipendentemente dal margine di vittoria. Ad esempio, se un candidato dovesse vincere in Pennsylvania per il 51 per cento dei voti, otterrebbe tutti e 19 i grandi elettori, mentre l'altro candidato, che ha ottenuto il 49 per cento, non ne otterrebbe neanche uno (l'esempio non è del tutto casuale, perché la Pennsylvania è uno degli stati più in bilico per il voto di quest'anno).
L'effetto è quello che abbiamo ripetuto più volte: non conta tanto quanti voti popolari ottiene un candidato a livello nazionale, ma quanti stati riesce a conquistare. O, meglio ancora, quanti grandi elettori si riesce ad assicurare.
Maine e Nebraska
Maine e Nebraska sono gli unici negli Stati Uniti che non seguono il principio del “winner-takes-all”, ma scelgono i grandi elettori nel collegio elettorale attraverso un sistema misto, solitamente definito come “sistema proporzionale per distretto congressuale”.
Nel dettaglio, due grandi elettori vengono assegnati al vincitore del voto popolare a livello statale (seguendo lo stesso principio degli altri stati). I grandi elettori restanti (due in Maine e tre in Nebraska) vengono assegnati ai vincitori dei rispettivi distretti che compongono lo stato.
Significa che teoricamente potrebbe esserci un “risultato misto” (split vote), con la scelta di grandi elettori che la pensano in maniera opposta. Di fatto è raro che sia successo nella storia degli Stati Uniti, ma gli esempi non mancano: è successo nel 2008 in Nebraska, nel 2016 in Maine, e sia in Maine sia in Nebraska nel 2020.
Come si vota
Il voto è sempre il primo martedì successivo al primo lunedì di novembre (quest'anno è dunque il 5 novembre). La decisione del giorno risente anche questo caso delle radici storiche degli Stati Uniti: si è scelto un momento che potesse essere adatto per una nazione profondamente agricola e religiosa. Si voleva evitare che le persone fossero costrette a viaggiare di domenica per raggiungere i seggi ed evitare che il voto fosse il primo novembre (festa di Ognissanti).
A livello pratico, ogni stato può regolare il voto in maniera diversa. Innanzitutto, i cittadini devono essere iscritti alle liste elettorali: in alcuni stati (come California, Oregon e Colorado) la registrazione è automatica, in altri deve essere fatta autonomamente dall'elettore, anche con un certo preavviso. In alcuni stati (come in Minnesota e Wisconsin) ci si può invece registrare anche lo stesso giorno del voto.
Nei vari stati ci possono poi essere differenze sulle modalità di voto: può essere effettuato in presenza (con schede cartacee o con il voto elettronico) o attraverso il voto postale. Può esserci il voto anticipato (early voting), che garantisce di evitare le code ai seggi, andandoci nei giorni o nelle settimane precedenti.
Le date fondamentali
L'operazione di voto si concluderà dunque il 5 novembre. Inizierà dunque il conteggio delle preferenze, che deve concludersi entro l'11 dicembre.
Il 17 dicembre si esprimono i grandi elettori. Teoricamente, alcuni di loro potrebbero votare per un candidato diverso rispetto a quello per cui sono stati eletti. Ma questo è avvenuto molto raramente in passato (e alcuni stati hanno previsto leggi per impedirlo). Il collegio elettorale non si riunisce in un luogo fisico, ma i grandi elettori votano nei loro stati di appartenenza.
Il 6 gennaio si riunisce il congresso per contare i voti: a quel punto il vicepresidente in carica (in qualità di presidente del Senato) proclama chi sarà presidente e chi il vicepresidente. Se nessuno dei candidati presidente ha ottenuto almeno 270 preferenze, lo sceglie a maggioranza la Camera, attraverso un sistema di voto per stato (ogni stato ha un voto, il distretto di Columbia non vota perché non ha rappresentanti). L'elezione del vicepresidente viene invece effettuata dal Senato, con ogni senatore che ha a disposizione un voto.
Infine, il 20 gennaio c'è l'inauguration day, con i vincitori che prestano giuramento e diventano ufficialmente presidente e vicepresidente degli Stati Uniti.
La notte elettorale
Se si prende alla lettera questo sistema, si dovrà dunque aspettare il 6 gennaio 2025 per sapere chi sarà il futuro presidente degli Stati Uniti. In realtà, già nella notte elettorale inizieranno ad arrivare i primi verdetti (e forse anche il nome del futuro presidente, se le operazioni di spoglio non fossero particolarmente lente).
I principali media americani analizzano infatti i dati elettorali in tempo reale, monitorando il flusso dei dati e confrontandoli con trend elettorali e dati storici. Attraverso l'utilizzo di modelli matematici e statistici, riescono così a fare delle proiezioni sull'andamento del voto, fino a quando il distacco viene ritenuto ormai come insormontabile. In quel caso, il singolo media decide di “chiamare” il vincitore.
Questo sistema permette di creare l'atmosfera tutta particolare della notte elettorale: ma è soprattutto un modo per capire chi sarà il vincitore in anticipo, rispetto allo spoglio che potrebbe richiedere diversi giorni. Vista la precisione del modello statistico, si ritiene che queste “chiamate” siano affidabili. Tuttavia, nascendo dal team di esperti che ha a disposizione ogni media, ogni redazione può decidere di fare una “chiamata” in tempi diversi.
Un dato importante da considerare è dunque la chiusura dei seggi che avviene ovviamente in tempi diversi: si inizierà con la chiusura dei primi distretti in Indiana e Kentucky alla mezzanotte italiana e si finirà con l'Alaska alle sette del mattino (sempre orario italiano).
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