Guerre, lotta alla povertà, patrimoniale, transizione energetica. Il G20 iniziato ieri a Rio de Janeiro ha l’ambizione di trovare soluzioni a quattro macro temi globali, ma per ora c’è accordo di massima solo su uno dei punti.

In compenso, Giorgia Meloni ha portato a casa qualche impegno che dovrebbe tornare utile alle aziende di casa nostra. Nel bilaterale con il presidente brasiliano Lula, la premier ha ricordato all’ex sindacalista che le imprese nostrane hanno intenzione di investire 40 miliardi di euro nel suo paese.

Il bilaterale con Lula

Palazzo Chigi ha fatto sapere che nell’incontro è stata discussa anche «l’opportunità di concludere un nuovo Piano d’Azione del Partenariato Strategico Italia-Brasile per il quinquennio 2025-2030». Insomma, in attesa di capire se qualche accordo globale concreto verrà preso, l’Italia pensa al proprio orticello e cerca di rafforzare i rapporti commerciali con il Brasile, una delle poche speranze del mondo: tra i pochissimi Paesi, oltre a Messico e India, ad offrire all’Italia e ai suoi alleati atlantici una prospettiva di stabilità politica e crescita economica per il futuro prossimo.

Poco importa se a garantirla non è la destra di Jair Bolsonaro, ma la sinistra di Lula: su questo Meloni sembra aver adottato un approccio pragmatico.

Tim, Pirelli, Enel, Ferrero, Leonardo, Fincantieri e Stellantis sono le aziende italiane più esposte sul mercato brasiliano, mentre Eni non ha mai avuto vita facile.

Chissà che l’incontro tra Meloni e Lula non si riveli un buon viatico per il colosso di Stato. Certo ci sarebbe l’impegno a ridurre le emissioni il più in fretta possibile, ma il discorso fatto da Meloni alla Cop29 («al momento non c’è alternativa ai combustibili fossili») ha chiarito che l’Italia resta una nazionale a trazione fossile, o forse meglio dire a trazione Eni.

Per confermarlo la premier ha ribadito l’attenzione sul piano Mattei, attraverso il quale Eni punta ad aumentare in Africa la produzione di biocarburanti: «Progetti concreti già stanno dando i loro frutti in Egitto, Algeria, Kenya, Tunisia, Etiopia, Costa d’Avorio e Mozambico», ha dichiarato Meloni durante la sessione dedicata alla lotta alla fame e alla povertà, ricordando che l’Italia ha «definito insieme alla Banca Africana di Sviluppo e alla Banca Mondiale strumenti finanziari per mobilitare ulteriori risorse».

Un G20 senza Trump

La linea italiana si sovrappone bene al nuovo disordine mondiale. Il neoeletto Donald Trump (il G20 di Rio sarà l’ultimo di Joe Biden) ha chiarito di voler «trivellare, baby, trivellare», la guerra dei dazi tra Usa e Cina sembra solo all’inizio, l’offensiva militare di Israele sulla Palestina e i suoi alleati non accenna a diminuire e il conflitto in Ucraina promette altri morti in attesa dell’insediamento a gennaio del nuovo inquilino della Casa Bianca. Così si presenta il mondo mentre i capi di Stato delle maggiori economie dovrebbero negoziare.

Una sorpresa è arrivata da Javier Milei, al suo primo G20. L’Argentina ha deciso di aderire all’alleanza globale contro la fame e la povertà: era l’unico dei Paesi del gruppo a non aver sottoscritto l’accordo su cui Lula punta molto. D’altra parte sul resto del menù pochissimi prevedono intese. C’è il piano di pace per l’Ucraina, con la presenza del ministro degli Esteri russo, Sergeij Lavrov, e il tentativo di mediazione del presidente della Turchia, Recep Tayyp Erdogan.

C’è lo scontro sul clima tra Paesi più e meno industrializzati. C’è la chiusura della Francia alla firma dell’accordo di libero scambio tra Ue e Paesi dell’America Latina. Tutti dossier che non prevedono soluzioni facili. Per di più in assenza di Trump.

Anche la riforma della tassazione globale sui miliardari rischia di non vedere la luce. Prevede l’introduzione di un’imposta annuale del 2 per cento sul patrimonio netto totale degli individui estremamente ricchi (reddito ma anche proprietà immobiliari, partecipazioni azionarie e altri investimenti), i cui proventi potrebbero aiutare i Paesi più poveri e fortemente indebitati.

Dunque un aiuto per attenuare le disuguaglianze e fornire denaro necessario alla transizione energetica. La presidenza brasiliana è il principale sostenitore della proposta insieme a Francia, Spagna e Sudafrica; Cina e India nicchiano; gli Usa di Biden finora hanno detto no. E Trump? Non ha ancora commentato, ma è improbabile che il presidente eletto con la promessa di tagliare le imposte sui redditi alti sposi l’idea di una patrimoniale globale sui più ricchi.

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