«In questo momento non c’è un posto sicuro a Gaza». Questa è la drammatica sintesi di varie organizzazioni umanitarie impegnate a soccorrere la popolazione della Striscia, da giorni ormai colpita da continui raid aerei delle forze armate israeliane.

Da martedì la popolazione di Gaza vive sotto assedio e sotto le bombe. Israele ha imposto lo stop di forniture di energia elettrica, carburante, acqua, cibo e medicinali in risposta al brutale attacco di Hamas che dal fine settimana ha fatto almeno 1.200 morti sul suolo israeliano. La Striscia lunga appena 40 chilometri e larga 10 dipende interamente da forniture esterne per quasi tutti i beni di prima necessità.

L’unica centrale elettrica di Gaza, che dipende per il suo fabbisogno di corrente all’80 per cento da Israele, ha smesso di funzionare nel pomeriggio di ieri (mercoledì). Ammontano a circa 200.000 gli sfollati nella Striscia, a cui l’Onu sta cercando di trovare un alloggio. Almeno un ospedale, quello di Shifa, è diventato una sorta di campo profughi per gli sfollati, in cerca di un posto più sicuro.

Da Gaza il personale medico fa sapere che il numero di feriti, cioè circa 5.200 stando agli ultimi numeri riportati dal ministero della Sanità locale, è quasi il doppio del numero dei posti letto disponibili negli ospedali della Striscia. L’ultimo bilancio ufficiale delle vittime parla di 1.055 morti.

Le varie organizzazioni umanitarie stanno aiutando la popolazione locale con viveri, medicinali e provviste di ogni tipo, accumulati precedentemente, ma con l’interruzione di ogni entrata di merci dall’esterno, anche queste finiranno presto. Gaza era già una sorta di carcere a cielo aperto prima della guerra. Una zona così sigillata, in cui le organizzazioni umanitarie avevano grosse difficoltà a fare entrare aiuti di qualsiasi tipo. E la popolazione traeva la propria sussistenza per l’80 per cento da aiuti umanitari.

Il costo per la popolazione

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«Non può diventare una punizione collettiva per tutte le persone che ci vivono», dice Tommaso Della Longa, portavoce della Federazione Internazionale della Croce Rossa, che opera a Gaza attraverso l’organizzazione locale Mezzaluna Rossa Palestinese. Della Longa, che fatica a parlare regolarmente coi colleghi a Gaza, spiega che i danni che si stanno profilando per la popolazione civile sono immensi. Il bombardamento di infrastrutture vitali come le strade significa che le ambulanze perdono tempo prezioso per soccorrere le persone ferite e trasportarle negli ospedali.

E il personale sanitario stesso opera rischiando continuamente la propria vita. Quattro paramedici della Mezzaluna Rossa Palestinese hanno perso la vita colpiti da un’esplosione mentre stavano prestando servizio, ha confermato Della Longa. «Colpire un'ambulanza, il personale umanitario, significa sostanzialmente mettere a repentaglio centinaia di persone ma anche la vita di feriti che non possono ricevere le cure che dovrebbero, quindi si colpisce non solo l’organizzazione ma tutta la comunità», continua della Longa.

Ahmed Bayram, portavoce del Norwegian Refugee Council per il Medio Oriente dice a Domani che la sua organizzazione ha uno staff di circa 50 persone a Gaza. Le case di molte di loro sono state distrutte o comunque gran parte dello staff è tra gli sfollati. Racconta Bayram che la sua organizzazione non riesce a fornire aiuti alla popolazione civile a causa dei continui bombardamenti sulla Striscia. E come loro anche le altre organizzazioni non governative non riescono ad operare.

«Tutti possono solo preoccuparsi di proteggersi dal prossimo raid aereo» dice Bayram, che si trova in Giordania. Nella mattinata di ieri Bayram ha parlato con alcuni operatori per assicurarsi che stessero bene ma la comunicazione con Gaza è molto complicata in queste ore. Senza fornitura di elettricità la comunicazione diventerà ancora più difficile, se non impossibile, in assenza di generatori.

Le trattative

«Non accetto che i civili siano dei bersagli, da entrambe le parti» aveva dichiarato alla Bbc ore prima Hozayfa Yazji, area manager per Gaza del Norwegian Refugee Council. «Guardo fuori dalla finestra di casa e vedo solo gente correre per le strade di Gaza e non sanno dove andare. Non c’è speranza» continuava Yazji, aggiungendo che i residenti di Gaza non hanno mai sperimentato nulla di simile durante i vari attacchi israeliani degli ultimi 14 anni. Niente di questa intensità.

L’esercito israeliano ha fatto sapere che i combattimenti si intensificheranno anche se il bilancio dei morti da entrambe le parti dovesse continuare a salire, augurandosi che l’appoggio che Israele sta avendo ora continui anche con l’intensificarsi delle operazioni di guerra. «Speriamo che rimanga così anche quando le scene che arriveranno dalla Striscia di Gaza diventeranno più difficili da capire e da sopportare», ha detto il tenente colonnello Jonathan Conricus, in un aggiornamento video.

Ad oggi i civili di Gaza sono completamente bloccati nel territorio della Striscia. Non possono entrare in Israele e neanche in Egitto, che martedì ha chiuso la frontiera di Rafah, l’unico punto di passaggio tra Gaza e il paese nordafricano, dopo numerosi bombardamenti dell’aviazione israeliana nella zona.

In questa situazione, per salvaguardare le vite dei civili, gli Stati Uniti stanno trattando con Israele ed Egitto per cercare di garantire la loro uscita dalla Striscia. Il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry, è in contatto con le Nazioni unite, a cui ha garantito il totale appoggio alle agenzie dell’Onu nell’assicurare aiuti umanitari alla popolazione civile.  

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