Per spiegare davvero chi è Bidzina Ivanishvili, eminenza grigia della politica di Tblisi, si usa spesso questo esempio: il tycoon, fondatore del partito al potere Sogno georgiano, ha in tasca un quarto del Pil dell’intero paese. Patrimonio: oltre 7 miliardi e mezzo di dollari.

Mentre strade e piazze georgiane sono gonfie di proteste e scintille filoeuropee (ieri ennesima notte di scontri), Ivanishvili è accusato di voler trascinare lo Stato ex sovietico nelle fauci di Mosca. È la biografia del politico che Forbes infila nelle liste dei più ricchi al mondo – non solo della Georgia – a confermare che è una creatura sovietica.

Il mito del self made man

L’agiografia dell’oligarca nato poverissimo narra questo: figlio di un minatore che non può comprargli nemmeno le scarpe, Boris Grigoryevich detto Bidzina è primo di cinque fratelli in un villaggio remotissimo della Georgia. Quando studia ingegneria a Tbilisi, per mantenersi, fa il factotum in fabbrica.

Forse è il dottorato in economia a Mosca a trasformarlo nell’uomo che saprà trarre miliardi di profitto dal suicidio dell’Urss. Allattato alle mammelle dell’Unione socialista, Ivanishvili comincia a prosperare quando crolla: vende prima computer, poi telefoni con i tasti, oggetto feticcio nel Paese che dietro la cortina chiamava solo a rotelle. Dello sterminato cadavere comunista anche Bidzina prende un pezzo: i metalli.

Negli anni Novanta, quelli in cui lo Stato russo viene smembrato da privatizzazioni selvagge, più dura l’agonia sovietica, più si riempiono le sue casse. Poi i soldi li fa con quelli degli altri: fonda la banca Rossiisky Kredit. Entra nel cuore dell’impero, nell’ovile dell’élite di Mosca, nella coalizione di banchieri che assicurerà un mandato al presidente russo più rubizzo di tutti: Elsin.

(I detrattori non dimenticano che sostenne, all’epoca, il responsabile della repressione di chi manifestava per l’indipendenza della Georgia già nel 1989: l’Armata rossa si scagliò contro i giovanissimi a viale Rustaveli, lo stesso dove ci sono i ragazzi di oggi con la bandiera blu dell’Ue sulle spalle).

Gli anni di Putin

Ivanishvili si sbarazza di cittadinanza e proprietà russe quando conquista il potere un altro presidente: Putin.

Nei Duemila lascia la Russia per la Francia. Dieci anni dopo quell’addio a Mosca decide di ascendere nella politica di Tbilisi creando “Sogno georgiano”. Il nome del partito lo prende dal titolo della canzone di uno dei rapper nazionali più famosi: Bera, che è anche suo figlio. (Albino, influencer e spaccone, è stato accusato di usare la polizia nazionale per punire i suoi critici).

Il magnate sfida e batte il rocambolesco, il sempre spericolato Sakashvili, alimentando una retorica filoeuropea che gli farà guadagnare un’iniziale compiacenza occidentale: «Creerò una tale democrazia che l’Europa rimarrà stupita».

Forse, al suono di quelle parole portate in pegno al blocco ovest, l’uomo che ora vuole mettere al bando l’opposizione ci credeva davvero. Era il 2011: due anni dopo esploderà, in un altro stato ex Urss, l’Euromaidan. In ogni caso, fu la piazza a elevarlo premier nel 2012: alla luce dei riflettori, l’oligarca solitario però resiste solo un anno.

Torna nella sempre amata e ricercata ombra, lascia la scena e non il potere, lo manovra, da allora, dalle quinte, cambiando poltrone e cariche in un partito dove nessuno decide niente senza la sua approvazione.

Il curriculum da bambino comunista, da figlio di minatore diventato re Mida, è poco appurabile, come ha quasi riconosciuto lui stesso durante un’intervista: «Potrei dire qualsiasi cosa, nessuno sarebbe in grado di verificarlo». Finora hanno definito Ivanishvili in ogni modo, con mille sinonimi di burattinaio, di puparo dell’est. Qualcuno lo chiama «l’oligarca buono», e lo è stato per gli abitanti di Chorvila, il villaggio dove è nato e dove ha ristrutturato le case gratis a tutti.

Oggi però tutti conoscono la sua, di casa. Eccentrica come la sua personalità, è la sua mastodontica residenza di acciaio e vetro che svetta su una collina della capitale georgiana: un feudo da 50 milioni di dollari dove, tra eliporti e museo, corrono zebre, pinguini, pavoni del suo zoo personale.

“L’uomo nell’alto castello” che ha vasche per gli squali, lemuri al posto dei gatti, una collezione di alberi rari, possiede una magione futuristica quanto il romanzo di Philip Dick. La casa, come il suo proprietario, ha ai suoi piedi Tbilisi, a nord la Russia, oltre l’orizzonte l’Europa; ogni direzione finora è stata buona per il Giano georgiano quadrifronte, che fa business non solo a est e ovest, ma pure a nord e sud. (Secondo l’Occrp proprietà in Russia ne ha ancora: le possiede sua moglie).

Per le proteste ora teme di perdere non solo la Georgia, ma anche il suo impero economico: oltre ai suoi affari, controlla quelli del Paese tramite la sua cerchia di fedelissimi che hanno resistito alle ultime urne a ottobre scorso.

L’opposizione accusa Ivanishvili di imporre un’inviolabile forza di gravità che sta facendo scivolare la Georgia verso l’orbita di quella Federazione che gli ha riempito le tasche in un passato che non può dimenticare. Verso Mosca, soprattutto dopo la guerra in Ucraina, è compiacente, ma non del tutto allineato. Ivanishvili accusa l’Ovest di voler fare di Tbilisi un’altra Kiev, ma non è stato l’unico a chiosarlo: le proteste georgiane fanno presagire spettri di una Maidan caucasica a tutti, dal Cremlino alla Casa Bianca.

In una sintesi lungimirante ha detto di lui l’ex premier Giorgi Garkharia (suo ex alleato oggi diventato oppositore, come molti): «Non è filoeuropeo, non è filoamericano. Non è filorusso. Purtroppo non è filogeorgiano. È solo filosestesso». La democrazia Ue disturberebbe la sua corte, ma lo farebbe pure il Cremlino da cui ha saputo scappare in tempo. Ora non è certo che il populista Ivanishvili voglia servire la Georgia su piatto d’argento a Putin.

Di certo è solo che debba essere sempre pieno il piatto del bambino scalzo che, crescendo, è riuscito a comprare al Sotheby uno dei quadri più costosi al mondo, un Picasso da 95 milioni di dollari. Pure quello sta nell’alto castello.

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