La Spagna fa retromarcia, pressioni di Pechino sull’Italia: la minaccia della guerra commerciale pesa su un’Europa divisa
Pechino sta intensificando le pressioni su Bruxelles e sui paesi membri per ottenere un consistente sconto o addirittura far ritirare i pesanti dazi addizionali varati dalla Commissione sull’importazione nell’Unione europea di veicoli elettrici (Ev) prodotti in Cina, diventati per la seconda economia del pianeta un’industria strategica.
Da lunedì scorso una delegazione di funzionari del Partito comunista guidata dal vice Li Fei, è a Bruxelles per preparare l’arrivo, la prossima settimana, del ministro del Commercio Wang Wentao, che potrebbe fare tappa anche a Roma per colloqui con il governo Meloni. A rappresentare l’Ue c’era la direttrice generale per il commercio, Sabine Weyand. Li ha auspicato «una soluzione che soddisfi gli interessi comuni di entrambe le parti».
E mercoledì 11 settembre dalla Cina – dove ha incontrato il presidente Xi Jinping – Pedro Sánchez ha dichiarato che «dobbiamo rivedere – tutti noi, non soltanto gli stati membri ma anche la Commissione –, la nostra posizione» sui dazi. «Non abbiamo bisogno di un’altra guerra, in questo caso di una guerra commerciale», ha aggiunto il premier spagnolo. «Penso che dobbiamo costruire ponti tra l’Unione europea e la Cina, e dalla Spagna ciò che faremo sarà essere costruttivi e cercare di trovare una soluzione, un compromesso, tra la Cina e la Commissione».
La sua Spagna è dunque pronta a fare retromarcia dopo che (così come l’Italia) il 12 giugno scorso aveva votato a favore dell’aumento provvisorio delle tariffe (fino al 36,3 per cento, che si sommano a quelle preesistenti, del 10 per cento). Una mossa con la quale l’esecutivo comunitario ha provato a mettere una pezza a quello che Mario Draghi, nel suo rapporto sulla competitività europea, ha definito «un esempio di mancanza di pianificazione, con l’applicazione di una politica climatica senza una corrispettiva politica industriale.
Conta o negoziato?
Per ribaltare la decisione della Commissione dovrebbero votare contro almeno 15 dei 27 paesi membri. Altrimenti le misure saranno confermate e rimarranno in vigore per i prossimi cinque anni. La conta è attesa per il mese prossimo e Pechino, in risposta all’iniziativa europea, ha avviato una serie di inchieste anti dumping contro l’Ue, tra le quali una sull’importazione di prodotti agroalimentari (dalla quale sarebbe particolarmente danneggiata la Spagna) e una su quella di cognac (contro la Francia). Il fronte dei favorevoli ai dazi è guidato dalla Francia, quello dei contrari dalla Germania, ma ci sono almeno una decina di paesi indecisi.
In un’intervista pubblicata il mese scorso dal Financial Times, Valdis Dombrovskis si era detto sicuro che l’Ue è pronta ad applicare dazi «punitivi». «È chiaro che gli Stati membri si rendono conto della necessità di proteggere l’industria automobilistica europea, perché esiste chiaramente il rischio che venga danneggiata», ha dichiarato il commissario al Commercio.
La settimana prossima a Bruxelles Wang vedrà proprio Dombrovskis. L’alto funzionario cinese dovrebbe recarsi anche a Roma, il 15-16 settembre, per colloqui con il governo Meloni. In agenda la questione dell’agognato investimento cinese nel settore dei veicoli elettrici, che vede in pole position la compagnia di stato Dongfeng, ma rispetto al quale il ministro dell’Industria e del made in Italy, Adolfo Urso, non ha ancora nulla in tasca.
Mentre a Pechino attendono di vedere come l’Italia si orienterà sul voto decisivo sui dazi sugli Ev, il governo cinese segnala di voler rafforzare i legami con l’esecutivo delle destre sovraniste. Nei prossimi giorni – a Roma, Milano e Torino – è attesa una delegazione della Commissione per il commercio di Shanghai per discutere, tra l’altro, della creazione di un parco industriale italiano a Shanghai, che dovrebbe sorgere alla periferia della megalopoli, non lontano dalla Gigafactory di Tesla.
Al momento gli Ev fabbricati in Cina rappresentano una quota minima (circa il 10 per cento) di quelli venduti nell’Ue, ma nel medio periodo i brand cinesi – che pure hanno in Occidente un problema di “riconoscibilità” – puntano al mercato europeo, che è il più ricco, dal momento che gli Usa hanno scelto sostanzialmente di continuare ad alimentare a benzina i loro Suv e pick-up, mentre Bruxelles ha deciso che, a partire dal 2035, nell’Ue potranno essere vendute nuove auto soltanto a emissioni zero.
Tra sussidi e profitti
Una politica green (il traffico automobilisti contribuisce circa al 20-25 per cento delle emissioni complessive di diossido di carbonio) che ha favorito la Cina, la cui industria delle auto elettriche (in particolare quella delle batterie e dei sistemi di guida intelligente) è all’avanguardia, che ora viene messa in discussione dallo stesso Partito popolare europeo della presidente della Commissione Ursula von der Leyen, il blocco più importante dell’Europarlamento.
Con la guerra dei prezzi che BYD e Tesla hanno scatenato per conquistare fette di mercato in patria (in Cina si possono acquistare per l’equivalente di 20mila euro Ev con caratteristiche e simili a quelle che i produttori europei e statunitensi vendono all’estero a più del doppio) i marchi cinesi sperano di compensare con i profitti nell’Ue le perdite in patria, dove anche la corsa delle vendite di veicoli elettrici sta rallentando. Per sostenerla, a fine luglio, il governo è intervenuto con sussidi diretti ai consumatori (validi fino alla fine dell’anno): fino a 20.000 yuan (2.770 dollari) per veicolo.
E il governo di Pechino ha bisogno di promuovere quello che è diventato un settore ad alto valore aggiunto strategico, che l’anno scorso – assieme alle batterie elettriche e agli impianti fotovoltaici – ha sostituito i “tre vecchi” campioni dell’export a basso valore aggiunto: abbigliamento, mobili ed elettrodomestici.
Per questo motivo la battaglia contro l’aumento dei dazi voluto dalla Commissione è diventata così importante e rischia di scatenare uno scontro aperto tra l’Unione europea e il suo secondo partner commerciale globale, il primo per la Germania in crisi.
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