Si riparte a settembre. E poi si vedrà. L’incontro di mercoledì al Mimit, convocato dal ministro delle Imprese Adolfo Urso per discutere del futuro dell’industria dell’auto in Italia, ha prodotto il solito fiume di parole e buone intenzioni, ma poco di più. È rimasto deluso, insomma, chi si aspettava qualcosa di diverso da un arrivederci a dopo le ferie: Urso ha approfittato dell’occasione per annunciare la “rimodulazione” del piano di incentivi, con vaghi cenni al merito della questione (spostare il focus sull’offerta, privilegiare le produzioni a elevato contenuto di componentistica europea) e rinviando al mese prossimo gli approfondimenti del caso.

Mal di fabbrica

Nulla però è stato detto che arrivi al cuore del problema. E cioè il calo costante della produzione negli stabilimenti italiani di Stellantis. Il ministro – è noto – punta chiudere un’intesa con la multinazionale dell’auto per fissare precisi obiettivi di produzione: un milione di vetture l’anno entro il 2030, oppure, ancora meglio, nel 2028. Il negoziato tra le parti si trascina da mesi senza risultati concreti. E con il passare del tempo diventa sempre più difficile risalire la china.

Nella prima metà dell’anno dalle fabbriche di Stellantis sono usciti circa 300mila auto e furgoni, il 25 per cento in meno rispetto al 2023. Lo segnala un report pubblicato a luglio dal sindacato Fim Cisl guidato da Ferdinando Uliano, che ormai dubita che in questo 2024 si possa arrivare a quota 500mila, come ha affermato al termine dell’incontro al ministero di mercoledì. Timori condivisi anche da buona parte degli analisti di settore. A Mirafiori, fabbrica simbolo della ex Fiat, il calo nel semestre è stato del 63 per cento. A Melfi del 57 per cento. Si salva, ma di poco, Pomigliano, più 3,5 per cento. E, da giugno in poi, tutti gli stabilimenti si sono fermati a lungo, sommando ferie e cassa integrazione.

Gioco delle parti

Ecco perché si fatica a non considerare irrealistico l’obiettivo del milione di veicoli all’anno su cui il governo cerca un’intesa con Stellantis. Le due parti in commedia recitano lo stesso copione ormai da molti mesi. Urso evoca l’arrivo in Italia di un grande produttore cinese nel tentativo di smuovere una controparte che fa esattamente il contrario di quanto le chiede Roma: invece di aumentarli, riduce i volumi produttivi, giustificando i tagli con il calo della domanda sul mercato.

Al paventato sbarco nella penisola di un colosso del Dragone, la risposta del ceo di Stellantis, Carlos Tavares, è sempre la stessa, modulata in diversi gradi d’intensità. «Se qualcuno vuole introdurre competitor cinesi sarà responsabile delle decisioni impopolari che dovranno essere prese. Noi combatteremo, ma quando si combatte possono esserci vittime. Non aspettative che usciremo vincitori senza cicatrici». Così parlò Tavares nell’aprile scorso, in risposta ai piani sbandierati da Urso per trovare a Pechino un secondo grande produttore di auto pronto a mettere radici in Italia.

Mesi dopo le posizioni restano le stesse. Il ministro mercoledì ha rincarato la dose rinfacciando a Stellantis di non aver mantenuto i suoi impegni per crescere in Italia dopo che il governo, come richiesto dall’azienda, si era battuto in Europa per la modifica della normativa sugli euro 7 e aveva varato un importante piano di incentivi per l’auto.

A questo punto però le parole lasciano il tempo che trovano. Contano i fatti e i numeri. E in questa estate, mentre gli stabilimenti da Mirafiori a Melfi, da Cassino a Pomigliano, lavorano a singhiozzo, con i sindacati che lamentano l’assenza di nuovi modelli da mettere in produzione, il gruppo guidato da Tavares deve affrontare un mercato che non promette nulla di buono.

Mercato giù

Non per niente il titolo Stellantis viaggia da mesi in netto ribasso. La quotazione si è quasi dimezzata dai massimi di fine marzo, a conferma che gli investitori scontano ulteriori difficoltà dopo quelle segnalate nei conti semestrali chiusi con profitti dimezzati rispetto allo stesso periodo del 2023.

Tavares, quindi, ha buon gioco a opporre alle richieste del governo i problemi di un settore che vede la quasi totalità dei produttori, con la parziale eccezione di Renault, costretti in questa fase a mettersi sulla difensiva.

Urso reagisce annunciando prossimi ipotetici accordi con gruppi cinesi. Il tempo però non gioca a favore del ministro, che mercoledì ha detto di aver siglato accordi di riservatezza per i negoziati in corso con tre produttori del Dragone. Come ha segnalato sul suo blog l’analista e commentatore economico Mario Seminerio, i tempi per convincere Stellantis a invertire la rotta e riprendere a investire in Italia sono necessariamente brevi, mentre l’intesa con i cinesi necessita per forza di cose di negoziati lunghi e complessi.

Va poi considerato che da Pechino alcuni grandi nomi hanno già annunciato grandi investimenti in Europa, una mossa strategica per aggirare i dazi Ue. Byd, il più grande produttore al mondo di auto elettriche, a luglio ha annunciato investimenti per quasi un miliardo di euro per un nuovo stabilimento in Turchia con capacità di 150mila vetture all’anno, un impianto, pronto a fine 2026, che va ad aggiungersi a quello che Byd aprirà l’anno prossimo in Ungheria.

Anche Chery, altro marchio cinese, inaugurerà tra alcuni mesi un impianto in Catalogna. Roma potrebbe infine orientarsi su Dongfeng, un nome che più volte è stato tirato in ballo nei mesi scorsi.

Il tempo passa. E molto altro ne passerà prima che da un’ipotetica intesa si arrivi alla scelta di un sito produttivo adatto allo stabilimento con targa cinese. Da chiarire anche quali saranno e in che forma verranno concessi eventuali sussidi pubblici destinati alla nuova iniziativa. Tempi lunghi, insomma. E sullo sfondo le parole di Tavares che evoca “vittime” e “cicatrici”.

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