- Nella Strategia globale pubblicata nel 2016, l’Unione europea riconosceva la necessità di dotarsi delle capacità necessarie per raggiungere un’autonomia strategica che le avrebbe consentito di provvedere in maniera più autonoma alla propria sicurezza.
- Più di recente, il Consiglio dell’Ue ha approvato la Bussola strategica, un piano d’azione che fornisce una valutazione più precisa dell’ambiente strategico in cui si muove l’Ue e fissa i primi obiettivi capacitivi da raggiungere.
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Tuttavia, il percorso verso l’autonomia strategica è ancora ostacolato da due sostanziali problemi. Il testo fa parte del nuovo numero di Scenari, scopri quali sono gli altri contributi. Per leggerli tutti è possibile abbonarsi qui.
Nella Strategia globale pubblicata nel 2016, l’Unione europea riconosceva la necessità di dotarsi delle capacità necessarie per raggiungere un’autonomia strategica che le avrebbe consentito di provvedere in maniera più autonoma alla propria sicurezza.
Quanto stabilito nel documento era il frutto di una nuova riflessione da parte dell’Ue, la quale riconosceva la definitiva virata strategica degli Stati Uniti verso l’Indo-Pacifico, divenuta celebre con l’immagine obamiana del “pivot to Asia”. La convinzione che fosse necessario fare di più nel campo della difesa sarebbe poi divenuta ancora più evidente con l’avvento di Donald Trump alla Casa Bianca. Sempre nel 2016, poi, l’uscita di scena del Regno Unito, principale ostacolo a tutti i precedenti tentativi di integrazione dell’Unione nel campo della difesa, avrebbe agito da ulteriore stimolo a questa nuova ambizione.
Negli anni successivi, l’Ue è riuscita ad avviare alcune importanti iniziative per promuovere l’integrazione dei paesi membri nella dimensione della difesa, come la Cooperazione strutturata permanente e il Fondo europeo per la difesa. I paesi membri hanno anche istituito la prima struttura di comando integrata a livello strategico, il Military planning and conduct capability (Mpcc), per la condotta delle operazioni congiunte. Più di recente, il Consiglio dell’Ue ha approvato la Bussola strategica, un piano d’azione che fornisce una valutazione più precisa dell’ambiente strategico in cui si muove l’Ue e fissa i primi obiettivi capacitivi da raggiungere. In particolare, il documento prevede la creazione di una forza di intervento rapido di 5mila uomini.
Tuttavia, il percorso verso l’autonomia strategica è ancora ostacolato da due sostanziali problemi.
La definizione di minaccia
Il primo consiste nella straordinaria difficoltà da parte degli stati membri di pervenire a una comune definizione della minaccia. Alcuni esperti chiamano questo fenomeno “cacofonia strategica”. Significa, in buona sostanza, che all’interno dell’Unione sussistono diverse visioni di quelli che dovrebbero essere le principali minacce da cui l’Europa deve difendersi. E se Bruxelles non fa chiarezza sulle minacce da affrontare e sulla priorità da assegnarvi, è difficile stabilire il livello di ambizione desiderato, quindi le capacità da sviluppare. Per i paesi dell’Europa sud-occidentale, la priorità è il terrorismo, l’immigrazione e l’instabilità in medio oriente e in nord Africa. Per i paesi dell’Europa nordoccidentale, come la Germania, la Danimarca e l’Olanda, la Russia è una minaccia, ma non superiore al terrorismo. Quanto ai paesi dell’Europa orientale, conta solo Mosca.
La cacofonia strategica, poi, non può che generare discordia in merito al rapporto che la futura difesa europea debba instaurare con la Nato, il garante della difesa collettiva dell’Europa. I paesi che ritengono che la minaccia principale per la propria sicurezza sia la Russia non sono particolarmente entusiasti delle nuove ambizioni dell’Ue e intendono invece rafforzare il rapporto con la Nato. Per coloro che non vedono Mosca come una minaccia primaria, la situazione è diversa. Basti pensare, ad esempio, a quanto dichiarato da Macron nel 2019, quando il presidente francese ha accusato la Nato di essere «cerebralmente morta».
Non a caso la Francia ha avviato iniziative multilaterali militari con altri paesi europei, come la European intervention initiative, e ha coinvolto le forze speciali europee in Africa in supporto alle forze francesi. Parigi sostiene fin dall’inizio un concetto di autonomia strategica molto più ambizioso di quello concepito, ad esempio, dalla Germania. Berlino ha tradizionalmente limitato le spese militari, affidando la sua sicurezza agli Stati Uniti, per cui la presenza dei militari americani in Europa rappresenta un pilastro chiave della politica di sicurezza nazionale (ci sono più di 35mila militari americani in Germania).
L’Italia ha assunto una posizione più vicina a quella di Berlino, conscia dell’importanza del rapporto che la lega con Washington, ma da anni invoca un maggiore supporto della Nato in Africa, in realtà senza ottenere granché.
Deficit capacitivo
La cacofonia strategica non è il solo ostacolo alle ambizioni dell’Unione. Ne esiste un altro, più sottaciuto perché molto spesso mal compreso, soprattutto in Italia, vista la scarsa conoscenza delle tematiche militari che affligge il nostro paese. Si tratta del grave deficit di capacità militari dell’occidente. Uno studio dell’International institute of strategic studies ha dimostrato che ancora nel 2018 l’Unione europea aveva gravi difficoltà a condurre operazioni militari anche al livello più basso di quello che in gergo militare viene definito lo “spettro dei conflitti”.
Per intenderci, Bruxelles difficilmente riuscirebbe a condurre in maniera autonoma operazioni di peace enforcement. I deficit capacitivi dell’Ue in campo militare sono principalmente quattro. Primo, i paesi dell’Unione soffrono di una grave carenza di mezzi e sistemi d’arma per il combattimento convenzionale. I dati sono impressionanti: dal 1990 al 2020, essi hanno ridotto il parco di carri armati dell’85 per cento, mentre i pezzi d’artiglieria sono stati ridotti del 56 per cento. In aggiunta, gran parte di questi mezzi non sono disponibili.
Secondo, gli stati membri dipendono ancora in maniera massiccia dagli Usa per la fornitura dei sistemi d’arma più complessi, in particolare quelli deputati alla condotta di missioni di intelligence e ricognizione.
Terzo, l’Ue non dispone di una struttura di pianificazione, comando e controllo veramente autonoma. Fino a oggi, i membri dell’Unione hanno fatto affidamento alla struttura di comando della Nato, e la creazione di un quartier generale autonomo è stata una delle questioni più divisive in assoluto. Basti pensare che per instituire il Mpcc ci sono voluti venticinque anni.
Infine, l’industria militare europea è estremamente frammentata, e i paesi membri preferiscono ancora acquistare materiale prodotto sul suolo nazionale, piuttosto che produrlo in cooperazione con altri stati europei. Secondo l’European defense agency, dal 2006 al 2015 meno di un quarto di tutto il materiale militare acquisito dalle forze armate europee è stato prodotto in cooperazione con altri paesi europei. Questa dinamica genera grandi sovrapposizioni: la commissione europea ha dichiarato che nel 2017 in Europa erano presenti 178 diversi sistemi d’arma, contro solamente 30 negli Usa.
Sforzi futuri
Molti studiosi e analisti concordano nel ritenere che l’attacco russo abbia suscitato una riposta compatta da parte dell’Ue. L’Europa ha inviato denaro e armi in quantità. Perfino la Germania, paese tradizionalmente pacifista, ha inviato armi a Kiev. I paesi europei, poi, si sono rivelati alquanto uniti nell’emanare sanzioni nei confronti della Russia. Molti, infine, hanno dichiarato di essere pronti ad avviare importanti programmi di riarmo. La Germania ha addirittura dichiarato di voler portare il budget della difesa fino al 2 per cento del Pil.
Un osservatore ottimista potrebbe concludere che la differenza di visioni in merito alla priorità da assegnare alla minaccia è dunque stata superata, e che il deficit militare sarà presto colmato. Eppure, benché l’attacco russo all’Ucraina abbia certamente influito sulla percezione della minaccia degli europei, spostando l’attenzione verso Mosca, per molti paesi dell’Europa occidentale, come l’Italia e la Francia, le priorità restano altre. Basta vedere l’atteggiamento del presidente Macron, molto più conciliatorio verso la Russia rispetto alla maggioranza dei paesi europei, e apertamente criticato dai paesi dell’Europa orientale.
Quanto al deficit capacitivo, lo sforzo che l’Unione europea deve profondere per far fronte alle sue carenze in campo militare è molto ampio e non è risolvibile nel breve periodo. Piuttosto, il vero effetto che la guerra ha avuto sul dibattito in merito al futuro della difesa dell’Unione è stato quello di convincere gli europei che qualsiasi tipo di autonomia strategica non potrà prescindere da quello che è stato negli ultimi settant’anni il garante ultimo della sicurezza del continente: la Nato.
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