- La Tunisia importa il 50 per cento del proprio fabbisogno nutritivo di base, come cereali, olio vegetale, carne, verdure. Da fuori arriva non solo la metà delle messi per il consumo umano, ma anche il 60 per cento del fabbisogno degli animali.
- Il presidente Kaïs Saïed ha dichiarato una «guerra instancabile» contro «i criminali dei monopòli», come chiama chi accumula prodotti calmierati per rivederli a prezzo maggiorato, approfittando della crisi delle importazioni aggravata dalla guerra di Putin.
- Ora il rialzo del prezzo dei cereali colpisce proprio mentre Tunisi negozia un nuovo prestito con il Fondo Monetario Internazionale, che chiede fra l’altro tagli ai sussidi sui beni di consumo.
«C’è voluta una guerra, quella fra Russia e Ucraina, perché in Tunisia si sviluppasse una coscienza dei rischi della dipendenza esterna in fatto di cibo», recita un appello, appena pubblicato, dell’organizzazione tunisina “Osservatorio per la sovranità alimentare e dell’ambiente” (Osae nell’acronimo francese).
La Tunisia importa il 50 per cento del proprio fabbisogno nutritivo di base, come cereali, olio vegetale, carne, verdure. Da fuori arriva non solo la metà delle messi per il consumo umano, ma anche il 60 per cento del fabbisogno degli animali. Nel caso del grano tenero, che serve a fare il pane, la cifra raggiunge l’80 per cento, e quasi tutto arrivava dall’Ucraina.
Lunghe code
«Da diversi giorni, in svariate località della Tunisia, arrivano notizie di lunghe code per acquistare il pane, il cui prezzo viene controllato dallo stato. Spesso le persone tornano a casa a mani vuote», racconta Habib Ayeb, uno dei fondatori dell’associazione dei sostenitori della “sovranità alimentare”. Nel caso di prodotti più facili da conservare, come semola, farina, olio vegetale, c’è anche il problema del mercato nero. «È li che si trova più facilmente la farina, e ci si rende conto dell’entità dei rincari: almeno il 25-30 per cento da febbraio».
Il presidente Kaïs Saïed ha dichiarato una «guerra instancabile» contro «i criminali dei monopòli», come chiama chi accumula prodotti calmierati per rivederli a prezzo maggiorato, approfittando della crisi delle importazioni aggravata dalla guerra di Putin. «La situazione è resa molto difficile dalla congiuntura fra l’invasione, la festività religiosa del Ramadan, che comporta un aumento dei consumi, e la grave situazione politica ed economica in cui versa il paese», dice un analista locale che vive fra la Francia e la repubblica nord-africana.
L’aumento dei prezzi
Già prima dell’invasione russa dell’Ucraina, il settore alimentare in Tunisia viveva una fase complicata. Secondo la Fao, nel biennio 2018-2020, la percentuale di tunisini che si sono trovati in stato di insicurezza alimentare “fra moderato e grave” è salita al 25,1 per cento, rispetto al 18,2 del periodo 2014-2016.
Nel primo semestre del 2021, lo squilibrio nel commercio di questo tipo di prodotti con l’estero aveva raggiunto 290 milioni di dollari, rispetto ai 50 dell’anno prima. A gennaio 2022, le cifre sull’inflazione registravano un aumento del 24,2 per cento sul prezzo delle uova, del 21,5 per il pollame, del 21,7 per l’olio d’oliva, e del 17,9 per la frutta.
Ora il rialzo del prezzo dei cereali colpisce proprio mentre Tunisi negozia un nuovo prestito con il Fondo Monetario Internazionale, che chiede fra l’altro tagli ai sussidi sui beni di consumo in cambio della concessione di un salvagente finanziario che scongiuri la bancarotta.
«Se il governo dovesse accettare le condizioni poste dal Fondo monetario, aggravando la situazione creata dal blocco degli export dall’Ucraina, ci sarebbe il rischio di una rivolta popolare», dice l’ultrasessantenne esperto di agricoltura e consumi alimentari in Tunisia dell’Osae. A Tunisi c’è già chi agita lo spauracchio del gennaio 1984, quando le richieste di riforma delle istituzioni internazionali avevano colpito proprio i sussidi sul pane. Seguirono proteste di piazza e una marcia indietro da parte del governo.
Deriva autoritaria
In un recente rapporto interno sulla Tunisia della società di consulenza Ihs, di base a Londra, gli autori rivedono al ribasso le previsioni di crescita del Pil nel 2022, da 2,9 a 2,4 per cento. «L'interruzione delle catene di approvvigionamento esacerbata dalla guerra Russia-Ucraina spingerà in alto i costi delle importazioni di energia e cibo, alimentando l'inflazione, e ridurrà la crescita della domanda di esportazioni tunisine dall’Unione europea», prevede il rapporto. Fra i motivi di pessimismo cita anche la decisione del presidente Saied di estendere lo stato di emergenza fino a dicembre 2022, «destinata a causare controversie politiche».
Lo scorso 25 luglio il presidente Saied, con un colpo di mano, ha esautorato il governo in carica e congelato le attività del parlamento, inaugurando un periodo di forti tensioni nel paese che fece da apripista alle primavere arabe.
La scorsa settimana, dopo una seduta su Zoom dei deputati che hanno votato contro i poteri d’emergenza di Saied, il presidente ha sciolto direttamente le camere, provocando allarme per una possibile ulteriore deriva autoritaria. C’è già chi paragona Saied a Zine El Abidine Ben Ali, il dittatore rovesciato dalla cosiddetta “rivoluzione dei gelsomini”. La scintilla di quella rivolta fu l’autoimmolazione di Mohamed Bouazizi, un venditore di strada di Sidi Bouzid, la località del sud da cui lo scorso mese è emerso il video di una folla che assalta un carico di semolina.
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