Abu Obeida, il misterioso portavoce dell’ala militare di Hamas originario del campo profughi di Jebalya, ha annunciato che il rilascio degli ostaggi israeliani previsto per sabato 15 febbraio «verrà rinviato fino a data da destinarsi».

Il comunicato, che rappresenta l’incaglio più significativo nel processo di applicazione dell’accordo di cessate il fuoco dall’entrata in vigore del 19 gennaio 2025, afferma che il congelamento verrà revocato soltanto qualora «l’occupazione (cioè Israele) si impegni a concedere quanto è dovuto [secondo i termini dell’accordo] e a fornire retroattivamente compensazioni adeguate per le manchevolezze delle scorse settimane».

Chi garantisce la tregua

Ma è evidente come a pesare ci siano anche le recenti dichiarazioni del presidente statunitense Donald Trump, che ha proposto la rimozione della popolazione di Gaza dalla Striscia e la ricostruzione del territorio sotto l’egida degli Stati Uniti. L’agenzia Reuters riporta infatti dichiarazioni di membri della fazione palestinese secondo cui gli Usa non sarebbero più garanti credibili della tregua, mentre mediatori egiziani confessano di temere per la tenuta dell’accordo.

L’accusa ufficiale rivolta a Israele è quella di aver consentito l’ingresso di meno convogli umanitari rispetto a quelli pattuiti e di quantitativi insufficienza di benzina. Inoltre, Hamas contesta il mancato arrivo di «60 mila unità abitative mobili temporanee e 200 mila tende» che sarebbero state promesse nel documento dell’intesa, il cui testo non è mai stato reso pubblico integralmente.

«È passata una settimana da quando ci siamo rivolti ai mediatori con queste rimostranze», ha detto un portavoce dell’organizzazione islamista a una televisione qatarina, ribadendo in seconda battuta l’impegno, nella misura in cui lo faccia anche Israele, a rispettare i termini della tregua.

Immediata la risposta di Israel Katz, il ministro della Difesa israeliano, che ha definito la mossa di Hamas «una completa violazione dell'accordo di cessate il fuoco e dell'accordo sugli ostaggi» e ha aggiunto, minacciosamente, di avere chiesto all’esercito di «prepararsi al massimo livello di allerta per ogni possibile scenario a Gaza e di proteggere le comunità di confine».

Il fronte delle famiglie degli ostaggi, da parte sua, ha fatto sapere di aver «sollecitato urgentemente l’aiuto dei paesi mediatori affinché l’accordo venga ristabilito ed applicato in modo efficace». Nella piazza degli ostaggi di Tel Aviv oggi si celebrava il ventiquattresimo compleanno di Alon Ohel, rapito il 7 ottobre di due anni fa dal festival Nova.

In un collegamento Zoom la madre, Idit Ohel, ha spiegato di aver appreso tramite ufficiali dell’esercito in che condizioni si trovi il figlio, grazie alle testimonianze emerse durante colloqui avuti dalle forze di sicurezza con i tre ostaggi rilasciati la scorsa settimana. Alon sarebbe ferito, denutrito e incatenato a terra in un tunnel.

Alon non rientra nemmeno nella lista dei 33 ostaggi da liberare nella fase uno dell’accordo, le cui sei settimane finiscono a inizio marzo. Rientrerebbe probabilmente nella più complessa fase due, i cui termini dovrebbero essere in fase di negoziazione. Ma che ora sembra ancora più lontana.

«Ora dovrebbe rientrare nella categoria dei casi umanitari», dice in collegamento da Israele, tenendo a precisare che «non è mai rientrato nella categoria dei soldati», cioè quella che rende più impegnativi i termini di liberazione.

Gli ultimi tre ostaggi rilasciati da Gaza dopo 491 giorni di prigionia soffrono di un grave deterioramento fisico e mentale. Sembravano «sopravvissuti all'Olocausto», ha detto Trump ai giornalisti a bordo dell'Air Force One mentre si recava a New Orleans per assistere al Super Bowl. «Erano in condizioni orribili, emaciati, e non so per quanto tempo ancora potremo sopportarlo».

Il peso del tycoon

Trump è anche tornato a parlare del suo piano per la Striscia di Gaza proprio lunedì, durante un’intervista concessa alla tv amica Fox. I palestinesi che abbandonerebbero Gaza secondo il suo piano non avrebbero diritto di tornare a Gaza nemmeno in un secondo momento, ha detto, «perché altrove avrebbero case molto migliori». E ancora: «Per loro costruiremo bellissime comunità».

Ad aumentare la tensione fra Israele e Hamas c’è anche stata l’uccisione di tre persone domenica dopo che le truppe dello stato ebraico hanno aperto il fuoco su gruppi di palestinesi che si erano avvicinati al confine con lo Stato ebraico. Nell’ambito della guerra Israele ha creato una fascia di sicurezza di circa un chilometro lungo il perimetro della striscia. In questa zona, precedentemente abitata e frequentata normalmente dai residenti, l’esercito non tollera l’ingresso di palestinesi.

Sempre lunedì il ministro dei trasporti Matteo Salvini, in visita in Israele, ha incontrato il ministro degli esteri Gideon Saar. Nelle ore in cui l’accordo sembrava entrare in crisi i due hanno discusso «la grave ingiustizia per cui la cosiddetta ‘corte’ penale internazionale ha commesso contro Israele», secondo il comunicato diffuso sull’incontro dal ministro israeliano.

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