Imagine, un classico da reinterpretare per mandare un segnale di pace a tutti i teatri di conflitto, primo fra tutti il Medio Oriente. «Canteremo in ebraico, arabo e italiano per immaginare un futuro, non per fotografare la realtà», dicono Noa e Mira Awad, le artiste israeliana e palestinese che martedì 11 febbraio apriranno il festival di Sanremo con un’interpretazione che supera i confini.

Noa, è stata a Sanremo trent’anni fa. Com’è cambiata la situazione in Medio Oriente?

Quando sono venuta la prima volta, non mi occupavo tanto del conflitto. Ero un’artista impegnata a fare musica e divertirmi, ma con gli anni ho finito per esserne sempre più coinvolta. È inevitabile, considerato che occupa un ruolo così importante nelle nostre vite.

La pace era più vicina allora o oggi?

Stranamente, credo che siamo più vicini alla pace oggi di quanto lo fossimo allora. Avevamo appena passato un momento in cui avremmo potuto raggiungerla con gli accordi di Oslo, quando Arafat e Rabin sono stati abbastanza coraggiosi da riconoscersi a vicenda il diritto di esistere e di essere liberi, oltre che di meritare rispetto e dignità. Da quando Rabin è stato ucciso, però, le cose sono peggiorate e oggi penso che siamo arrivati a un punto così basso che possiamo solo migliorare: abbiamo vissuto delle esperienze così terribili che credo su entrambi i lati si lavorerà per cambiare la realtà.

Ormai è da tanto che lavorate insieme per la causa pacifista. Che impatto ha avuto la vostra musica sulle persone che vivono di qua e di là del confine?

Noa: Spero che abbia avuto un impatto, ma non ho modo di avere un riscontro. Mi limito a fare quel che credo sia giusto, racconto le cose che vedo, come le vedo io: ricevo tante reazioni sui social, positive e negative, ma ragionerei in maniera qualitativa e non quantitativa. Inoltre, credo che le cose che facciamo non diano immediatamente frutti: a volte passano generazioni prima che si vedano risultati, ma bisogna seminare.

Mira Awad: Non so se la musica può guarire il mondo, ma a volte può guarire le persone e i loro cuori. E con la polarizzazione e disumanizzazione al loro picco nel mondo, credo che gli artisti che riescono a introdurre un diverso punto di vista e a spostare la conversazione su empatia, solidarietà e umanità possano guarire parte dell’angoscia nei cuori delle persone.

Non possiamo portare la speranza, ma possiamo ispirarla: israeliani e palestinesi possono sperare che la loro realtà cambi. Dobbiamo provare a convincere perfino i leader che governano attualmente. Penso che se riuscissimo a spostare un po’ la narrazione in quel senso avremmo già fatto parecchio.

Noa, lei sta concludendo il lavoro sul nuovo album che è stato molto condizionato da quel che è successo il 7 ottobre.

Il disco è quasi chiuso, si chiama The Giver, “colui che dona”. È un album filosofico, tratta i valori in cui credo e che si sono ulteriormente rafforzati e chiariti in me dopo il 7 ottobre. In questo album ho lavorato molto con Ruslan Sirota, un magnifico pianista e sto organizzando anche un festival a Firenze per settembre: si chiamerà Reimagine. Il nostro obiettivo è aiutare le persone a ripensare il modo con cui si approcciano al mondo.

Hamas nelle ultime settimane ha iniziato a rilasciare gli ostaggi, che effetto vi fa?

Noa: In Israele gioiamo per ogni ostaggio che torna a casa insieme alle famiglie che smettono di soffrire. Ma penso che ci sia ancora tantissimo da fare e tante cose brutte continuano a succedere: il cessate il fuoco è molto fragile e il nostro obiettivo deve rimanere la fine della guerra. Dobbiamo consentire la ricostruzione di un nuovo futuro sostituendo i leader che ci hanno portato a questa catastrofe. Solo in questo modo possiamo evitare un’altra catastrofe per israeliani e palestinesi.

Siete qui anche per attirare l’attenzione del pubblico italiano sul Medio Oriente. Quanto può influire la consapevolezza delle persone sulla soluzione del conflitto?

Noa: L’Italia è divisa tra chi sta con una parte o con l’altra. Credo che Israele e Palestina da soli non saranno in grado di trovare una soluzione, ma che israeliani e palestinesi dovranno lavorare per un futuro comune nel segno della vita, e non della morte. Sembra che non si possa più parlare di pace, ma noi continuiamo a ripetere testardamente questa parola, sperando di influenzare le persone, quello che dicono, come si comportano e magari come votano. Vogliamo essere parte di un movimento che punti a cambiare la vita, che magari sia guidato più spesso dalle donne.

Mira Awad: Non siamo qui per spiegare la realtà, ma per mostrare nuove possibili realtà alternative. Stiamo immaginando un mondo diverso: sappiamo quanto sia devastante quello in cui viviamo, non siamo cieche in nessuna delle due direzioni, ma dobbiamo credere nel fatto che se cambiamo il nostro atteggiamento e la nostra prospettiva, cambiamo la nostra realtà, possiamo sognare anche un accordo di pace. Se non iniziamo a sognarlo non succederà mai.

Come si può dare più voce alle persone che la vedono diversamente dai leader politici e religiosi?

Mira Awad: I’m not the only one, come dice Imagine. Ci sono tante persone che condividono queste opinioni e lavorano duramente per cambiare il destino dei loro paesi, ma spesso non gli viene data rilevanza. I media possono scegliere se parlare di omicidi, odio e rabbia e richiamare sempre la storia oppure dare voce a coloro che sono consapevoli del passato, ma guardano al futuro. Per questo dobbiamo ringraziare il festival, che ha fatto una scelta concedendoci questa piattaforma per amplificare la nostra voce.

Noa: Speriamo di diffondere con le nostre attività, anche sui social, la consapevolezza che ci sono tante organizzazioni che lavorano per la pace. Non abbiamo i follower che ha Beyoncé, ma ritorneremo su questo tema al festival di settembre: spero possa venire anche Mira e che insieme possiamo presentare al pubblico italiano alcune di queste organizzazioni, come Women Waging Peace o Women of the Sun. Speriamo che i media possano fare la loro parte per dare spazio a queste persone che lavorano per rendere il mondo un posto migliore.

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