Sono giornate molto dure a Gaza. Ieri i bombardamenti sono stati intensi, soprattutto su Khan Yunis, dove i raid israeliani hanno colpito alcuni accampamenti in cui erano rifugiate alcune famiglie. Ma a rendere il clima ancora più teso è il conflitto politico che sembra essersi acceso nella Striscia.

Quando la notizia del rifiuto di Hamas di accordarsi con i mediatori, i gazawi hanno messo in atto nuove piccole manifestazioni di protesta. «Hamas ha deciso di non dare seguito all'ultima proposta israeliana presentata dai mediatori», ha fatto sapere nella giornata di ieri uno dei portavoce dell’organizzazione.

«È Israele ad ostacolare una proposta di Egitto e Qatar, non noi», hanno detto quasi a giustificarsi nei confronti dei cittadini della Striscia. «Sono loro – ha aggiunto Hamas – che cercano di far deragliare qualsiasi accordo».

Bombe a nord e a sud

Nelle ultime ore, intanto, l’Idf, ha bersagliato sia il nord, sia il sud di Gaza uccidendo almeno 62 persone. «Abbiamo paura che l’ennesimo fallimento delle trattative possa essere la fine totale per noi», dice Tarek Abu Said, che per mesi ha lavorato come volontario in un centro che distribuiva aiuti umanitari. Quella piccola palestra, un giorno, è stata disintegrata in un raid e anche quelle poche scorte di cibo rimaste sono state polverizzate. «Siamo morti che camminano, non c’è più speranze per noi», confessa Tarek.

Negli ultimi due tre giorni, dopo le proteste contro Hamas che hanno attirato l’attenzione mediatica mondiale, il sentimento generale è cambiato. «L’adrenalina delle manifestazioni – spiega il giornalista Hassan Isdodi – hanno lasciato il posto a una depressione profonda, perché la gente è consapevole che non ci sarà alcuna salvezza. Dall’altro lato, però – spiega ancora il cronista – si è innescata una guerra politica, una sorta di guerra civile che temo finirà di annientarci». 

Il conflitto interno tra Hamas e Fatah non si era mai spento del tutto ma è rimasto congelato per anni, fino alle proteste di qualche giorno fa. Ma cosa è cambiato? «Hamas accusa Fatah di collusione con l'esercito israeliano e di contribuire a sopprimere la loro resistenza in Cisgiordania», spiega il politologo Ibrahim al Qawa. «Fatah, a sua volta, accusa Hamas di infliggere danni maggiori alla comunità palestinese a Gaza, mandando in fallimento tutti i tavoli di trattativa, proprio come accaduto ieri».

I sostenitori di Hamas a Gaza hanno accusato Fatah di aver organizzato e sostenuto le proteste di piazza, e non è un segreto che proprio nelle scorse ore l’Olp ha dichiarato di essere disponibile a governare Gaza dopo la guerra. «Questo ci pone delle domande a noi gazawi», dice ancora il politologo al Qawa. «Hamas potrebbe accettare di non gestire l’amministrazione, ma la brigata al Qassam non arretrerebbe di un millimetro. A quel punto, Abu Mazen accetterà la continuazione della presenza dell’ala militare di Hamas a Gaza?».

Chi soffia sul fuoco

Tra raid, fame e malattia, ora ci si mettono le divisioni interne. La popolazione di Gaza è sempre più arrabbiata con Hamas, ma chi cerca di soffiare sul fuoco e alimentare la rabbia potrebbe avere un secondo fine. «Nessuno più di Israele trae beneficio dalla divisione politica e dal conflitto civile in corso a Gaza», spiega il giornalista Isdodi. «L'idea che Israele possa alimentare le proteste contro Hamas non è inverosimile. È plausibile che quando si sia presentata un'opportunità, l'abbia colta».

L’obiettivo di Israele è di distruggere Hamas, anche a costo di cancellare Gaza. E se sono gli stessi palestinesi a chiedere che Hamas si faccia da parte, l’Idf, allora, non ha più alibi. Quindi, bombardamenti a tappeto. Ed è quello che secondo alcuni osservatori accadrà nelle prossime ore. Il governo di Benjamin Netanyahu, mentre il primo ministro è in Ungheria, sta per invadere con ancora più uomini e mezzi l’intero territorio della Striscia. La conta delle vittime continuerà.

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