Mentre i carri armati israeliani sono arrivati al centro della città di Rafah, sfidando tutte le richieste internazionali di fermare l’offensiva che da ultimo ha provocato 45 morti e duecento feriti nel campo profughi di Tal-Sultan, è arrivato da una avanguardia europea di paesi come Spagna, Norvegia e Irlanda il riconoscimento formale dello stato della Palestina. L’Italia invece resta ancorata alla posizione americana di auspicare il riconoscimento diretto tra i due contendenti.

Il premier spagnolo, il socialista Pedro Sánchez, in una dichiarazione ha annunciato che «la Spagna riconosce lo stato della Palestina», un passo che aumenta l’isolamento internazionale del governo Netanyahu e quel processo di auto ghettizzazione del paese. Come aveva descritto Jean Daniel nel suo libro La prigione ebraica del 2003, «andando in Palestina dopo la Shoah e credendo di trovare “una terra senza popolo per un popolo senza terra”, gli ebrei sono stati costretti, di fronte alla realtà di un territorio abitato, a motivare religiosamente il loro diritto a costituirsi come stato».

E da qui sono sorte le numerose tensioni di cui oggi vediamo le drammatiche conseguenze che hanno dato vigore alle posizioni più radicali da ambo le parti e messo all’angolo quelle dialoganti.

Il fronte si allarga

«La Spagna si unisce così a oltre 140 paesi nel mondo che già riconoscono la Palestina. Si tratta di una decisione storica con un unico obiettivo: contribuire a che israeliani e palestinesi raggiungano la pace». «Non adottiamo questa decisione contro nessuno», ha aggiunto. Sánchez ha affermato che la Spagna «non riconoscerà cambi sulle linee di frontiera del 1967 che non siano concordati fra le parti».

Ha specificato che lo Stato che riconosce Madrid include Cisgiordania e Gaza «collegate da un corridoio, con Gerusalemme est come capitale e l’Autorità Palestinese come autorità nazionale». «Non è una dichiarazione contro Israele, un popolo amico col quale vogliamo avere i migliori rapporti possibili», ha spiegato il premier.

In contemporanea è arrivato un nuovo attacco del ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz, alla Spagna. «Khamenei, Sinwar e il vice primo ministro spagnolo Yolanda Díaz», ha denunciato Katz su X, «chiedono l’eliminazione di Israele e la creazione di uno stato terrorista islamico palestinese dal fiume al mare». «Primo ministro Sánchez», ha proseguito, «se non licenzi il tuo vice e annunci il riconoscimento di uno Stato palestinese, sei complice nell’istigazione al genocidio ebraico e ai crimini di guerra».

Anche la Norvegia ha riconosciuto lo stato della Palestina: «Oggi è un giorno speciale». E anche l’Irlanda ha formalizzato il riconoscimento, come annunciato nei giorni scorsi. Finora un solo membro dell’Ue lo aveva fatto, la Svezia, 10 anni fa; mentre il riconoscimento di alcuni paesi dell’Europa centro-orientale ex comunisti – un tempo legati all’influenza sovietica – risale a prima della loro adesione all’Ue. L’atto formale dell’Irlanda è stato ufficializzato da un Consiglio dei ministri riunito a Dublino sotto la presidenza del nuovo primo ministro, Simon Harris.

Mentre dinanzi alla Leinster House, il palazzo del parlamento irlandese, la bandiera palestinese veniva issata accanto a quelle dell’Ue e dell’Ucraina. L’Irlanda – si legge nella dichiarazione – ha oggi «riconosciuto la Palestina come stato sovrano e indipendente e ha accettato di stabilire piene relazioni diplomatiche fra Dublino e Ramallah».

Parallelamente a tale atto, è stata annunciata le nomina di un ambasciatore irlandese in Palestina, con sede a Ramallah, in Cisgiordania, dove si trova il quartier generale dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) del presidente Abu Mazen. Questo riconoscimento punta a «tenere viva la speranza» di una pace fra Israele e Palestina fondata sulla soluzione «dei due stati» per due popoli, ha poi precisato il premier Harris.

La vicenda sta facendo proseliti. Il governo sloveno annuncerà giovedì la decisione sul riconoscimento dello stato di Palestina. Lo ha detto il premier Robert Golob, nel corso di una visita in Algeria, sottolineando al tempo stesso l’intenzione di Lubiana di continuare a lavorare unitamente al resto della comunità internazionale per arrivare a un cessate il fuoco nel conflitto a Gaza e al rilascio degli ostaggi.

Nuova proposta ai mediatori

E mentre Israele avrebbe consegnato una nuova proposta ai mediatori per un accordo sugli ostaggi ed è morto un secondo soldato egiziano dopo lo scontro con l’Idf di martedì al valico di Rafah, circa un milione di persone è fuggito dalla città a sud della Striscia nelle ultime tre settimane. Lo ha affermato l’Agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati palestinesi Unrwa. L’Unrwa ha affermato che non hanno «un posto sicuro dove andare in mezzo ai bombardamenti» e stanno viaggiando in mezzo a «mancanza di cibo e acqua, cumuli di rifiuti e condizioni di vita inadeguate».

Per la sera di mercoledì 29 maggio, le 21.30 italiane, è prevista una riunione a porte chiuse del Consiglio di sicurezza Onu sulla situazione a Rafah. L’incontro è stato chiesto dall’Algeria dopo i raid israeliani a Rafah. La comunità internazionale ha criticato duramente Netanyahu. «Un tragico incidente», lo ha definito il premier israeliano. «Ma la guerra va avanti», ha aggiunto, sordo a ogni richiamo alla moderazione. Nella notte un altro bombardamento dell’aviazione israeliana ha causato sette vittime nella città del sud della Striscia.

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