A giorni di distanza dalla richiesta del procuratore capo della Corte penale internazionale (Cpi) dei mandati di arresto per il premier Benjamin Netanyahu, il suo ministro della Difesa Yoav Gallant, e i vertici di Hamas, il Guardian pubblica un’inchiesta insieme ad altre testate israeliane (+972 e Local Call) sulle attività di spionaggio messe in campo dai servizi segreti di Tel Aviv nei confronti dei procuratori dell’Aia.

Secondo l’inchiesta Israele ha condotto negli ultimi dieci anni una «guerra» segreta contro la corte, utilizzando le sue agenzie di intelligence per sorvegliare, intercettare, hackerare, fare pressioni e diffamare i procuratori. È iniziato tutto nel 2015 quando la Palestina è entrata a far parte degli stati in cui la Corte penale internazionale può indagare crimini gravi come quelli di guerra o contro l’umanità.

L’attività di spionaggio sarebbe stata condotta soprattutto nei confronti del procuratore capo Khan e della sua predecessora Fatou Bensouda al quale sono state intercettate telefonate, messaggi, mail e documenti. Attività condotta dallo Shin Bet, dall’intelligence militare Aman e dall’unità 8200 di cyber-intelligence. Tutte le informazioni ottenute sarebbero poi state trasmesse a al governo e a vari ministeri. L’obiettivo era quello di anticipare le mosse dei procuratori e dare vita a strategie di pressione o diffamazione per ostacolarne il lavoro.

Nel realizzare l’inchiesta i media hanno intervistato più di una dozzina tra attuali ed ex ufficiali d’intelligence, funzionari di alto livello della Corte penale internazionale, diplomatici e avvocati. Secondo loro il premier israeliano Benjamin Netanyahu era «ossessionato» dall’ottenere intercettazioni. Un portavoce della corte ha detto di essere a conoscenza di «attività proattive di raccolta di informazioni intraprese da un certo numero di agenzie nazionali ostili alla Corte». Mentre da parte di Israele sono state negate tutte le accuse: «Le domande che ci sono state inoltrate sono piene di molte accuse false e infondate destinate a danneggiare lo Stato di Israele», ha detto un portavoce dell'ufficio del primo ministro israeliano. Mentre dall’esercito israeliano hanno risposto che: «L’Idf non ha condotto e non conduce operazioni di sorveglianza o altre operazioni di intelligence contro la Cpi».

La sorveglianza contro Bensouda

Cinque fonti hanno confermato alle testate autrici dell’inchiesta che l'intelligence israeliana spiava abitualmente le telefonate fatte da Bensouda e dal suo staff con i palestinesi. Nel 2021 quando era procuratrice capo della corte, l’investigatrice gambiana aveva deciso di aprire un indagine per verificare se si fossero commessi crimini in Palestina. Le venne impedito di accedere a Gaza e in Cisgiordania, così fu costretta portare avanti le sue ricerche per telefono, rendendola molto più vulnerabile alle intercettazioni. Un ex alto funzionario della Cpi citato dall’inchiesta ha detto: «Siamo stati informati che stavano cercando di ottenere informazioni su a che punto eravamo con l’esame preliminare».

Le intercettazioni, spesso captate attraverso il software Pegasus realizzato dall’azienda israeliana Nso, erano dirette anche nei confronti di palestinesi che sostenevano l'avvio di procedimenti giudiziari.

La risposta di Khan

Nel discorso con cui il procuratore capo Khan ha annunciato la richiesta del mandato di arresto nei confronti dei leader politici israeliani e dei vertici di Hamas, accusati entrambi di aver commesso crimini di guerra a partire dal 7 ottobre, diversi esperti lo hanno interpretato come dei messaggi diretti inviati a Tel Aviv per frenare le attività di spionaggio. «Insisto sul fatto che tutti i tentativi di impedire, intimidire o influenzare impropriamente i funzionari di questa corte devono cessare subito», aveva detto Khan. E ha aggiunto che se la condotta dovesse continuare, ha aggiunto, «il mio ufficio non esiterà ad agire».

© Riproduzione riservata