Il corpo del presidente iraniano Ebrahim Raisi è arrivato a Teheran, nell’ambito di una serie di cerimonie funebri che dureranno per diversi giorni.

Un video trasmesso dai media statali ha fatto vedere, riporta la Cnn, l’aereo presidenziale mentre arrivava all’aeroporto Mehrabad di Teheran, trasportando la bara di Raisi. Funzionari governativi e militari erano allineati su un tappeto rosso mentre una scorta militare trasportava la bara. Secondo le immagini pubblicate dai media statali, un posto sull’aereo presidenziale era rimasto vuoto, coperto solo da un panno nero e sopra una foto di Raisi.

La Guida Suprema, Alì Khamenei, guiderà oggi le preghiere nella cerimonia funebre per Raisi prevista a Teheran, dove sono arrivati le salme del presidente e delle altre vittime dello schianto dell’elicottero. Una cerimonia funebre ha avuto luogo già martedì nella moschea Grande Mosalla della capitale all’arrivo delle bare che, dopo un primo corteo funebre a Tabriz ieri mattina, sono state portate nella città santa di Qom, il “Vaticano” sciita, prima del trasferimento a Teheran.

Nel frattempo, dopo la morte di Ebrahim Raisi, le elezioni per il nuovo presidente pongono un’ardua prova alla leadership iraniana. L’establishment politico, secondo il New York Times, deve scegliere tra aprire la corsa presidenziale e affrontare i rivali conservatori moderati e i riformisti rimasti finora all’angolo della vita politica del terzo produttore di petrolio dell’Opec con 3,2 milioni di barili al giorno nel primo trimestre, oppure limitare i candidati a quelli della destra estrema come fatto nelle precedenti elezioni, vinte da Raisi per mancanza di alternative, e rischiare però l’imbarazzo di una bassa affluenza alle urne che delegittimerebbe la votazione.

In effetti, per quanto riguarda il rinnovo della presidenza, ci sono due scenari che si fronteggiano: il primo è quello della continuità assoluta con il presidente tragicamente scomparso, Raisi. In tal caso il Consiglio dei Guardiani (o Khamenei stesso) potrebbe scegliere di imporre una lista dei candidati molto esigua, composta dall’attuale presidente ad interim, Mohammad Mokhber, un personaggio poco noto, ma fedelissimo di Khamenei e dal presidente del Parlamento uscente, Mohammad Qalibaf, e poco altro, esponenti dell’ultradestra appoggiati dai Pasdaran, i Guardiani della Rivoluzione. Poco credibile l’ipotesi di candidare Mojtaba Khamenei, figlio della Guida suprema, una scelta che farebbe diventare la repubblica islamica ufficialmente una monarchia famigliare.

Il secondo scenario elettorale vede, invece, un Khamenei più flessibile che allenti la morsa della repressione e capisca che la situazione esige una sterzata e dia la possibilità di entrare in gioco a candidati diversi come l’ex ministro degli Esteri, il tecnocrate Ali Akbar Salehi, o Ali Larijani, 66 anni, ex presidente del parlamento iraniano la cui candidatura è stata bocciata dal consiglio dei Guardiani la scorsa volta e forse addirittura l’ex presidente Hassan Rouhani. Questa ipotesi significherebbe una svolta significativa del paese mediorientale.

La tempistica del voto

La tempistica per le presidenziali è molto serrata: la registrazione dei candidati deve partire tra un paio di settimane al massimo, poi a seguire deve arrivare il vaglio del Consiglio dei Guardiani, (che ha confermato che il prossimo presidente verrà eletto entro 50 giorni, come disposto dalla Costituzione e sarà in carica per quattro anni) con il potere di estromettere candidati ritenuti inidonei e poi far partire i dibattiti televisivi e la campagna elettorale vera e propria. Tutto secondo regole di un mix da ircocervo tra istituzioni rappresentative in stile occidentale, come parlamento e presidenza, e quelle controllate dal potere religioso della Guida suprema secondo i dettami della teocrazia. In Iran l’ultima parola per la guida della società spetta sempre a un giureconsulto islamico, la guida suprema appunto, secondo la dottrina del “velayat-e-faqih” come imposta dal fondatore della repubblica islamica, Khomeini.

Le cause dell’incidente

Non vi è alcuna indicazione su cosa possa aver causato l’incidente e sul perché così tanti alti funzionari del governo iraniano viaggiassero su un unico vetusto elicottero di decenni. Nei primi istanti dopo che l’elicottero di Raisi ha perso il contatto domenica notte, la Turchia ha dichiarato di aver monitorato se l’aereo dava o meno un “segnale”, ma non è stata in grado di rilevare nulla. Poi sono trapelate alcune indiscrezioni interessanti sul coinvolgimento del drone turco nella ricerca dell’elicottero di Raisi, l’unico in grado di rilevare fonti di calore di notte. Quelli prodotti dall’Iran, chiamati “kamikaze” ed utilizzati dai russi in Ucraina o contro Israele erano inutili in questo contesto di ricerche nella nebbia. Comunque a quanto pare il drone turco avrebbe sorvolato installazioni importanti militari dei Pasdaran in zona. Una rara occasione, autorizzata dalle autorità locali, di un drone Nato di prendere foto in territorio iraniano.

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