La procura regionale di Kiev ha aperto 2.600 procedimenti penali per crimini di guerra, tra cui violazione delle leggi e dei costumi di guerra, violenze sessuali, fucilazioni e atti di tortura sui civili
«Attentato all’integrità territoriale e all’inviolabilità dell’Ucraina», «violazione delle leggi e dei costumi di guerra», fucilazioni di civili, omicidi e torture durante l’occupazione russa nella regione di Kiev. Sono alcune delle accuse su cui sta indagando la procura regionale di Kiev nei 2.600 procedimenti penali in corso per crimini di guerra.
In base al registro unico delle inchieste pregiudiziali, spiega il procuratore Khomenko Oleksii all’Adnkronos, i civili uccisi nella regione dall’inizio dell’invasione russa, il 24 febbraio, sono oltre 1.500, di cui 178 donne e 44 bambini. Sono 165 invece i corpi non ancora identificati. E la procura, dal primo giorno dell’offensiva, raccoglie documenti e prove sui crimini commessi dall’esercito russo contro civili e obiettivi civili, con l’obiettivo di individuare i responsabili e assicurare alle vittime il risarcimento dei danni subiti. «I procuratori partecipano personalmente ai sopralluoghi, coinvolgono gli esperti, insieme agli investigatori identificano e interrogano le vittime e i testimoni», racconta il procuratore Oleksii.
Gli inquirenti della regione stanno inoltre riservando una particolare attenzione sul massacro di civili a Bucha, cittadina a nordovest di Kiev che, dopo un mese di occupazione russa, è stata liberata, permettendo di scoprire gli orrori commessi ai danni della popolazione civile dall’esercito occupante. «Attualmente stiamo accertando le circostanze di morte di ogni persona. Per alcuni abbiamo già capito la causa del decesso, su altri invece continuiamo a lavorare per accertarla», racconta il procuratore capo, precisando che i 116 corpi trovati nella fossa comune della città sono stati portati dai dipendenti comunali, che hanno raccolto i cadaveri per le strade, per la maggior parte con ferite da arma da fuoco.
i processi in corso
La procura distrettuale di Bucha ha avvertito delle indagini in corso dieci militari della 64esima brigata, accusati di «comportamento brutale contro la popolazione e violazione di leggi e costumi di guerra»: sono infatti emerse prove a loro carico secondo cui avrebbero tenuto in ostaggio i civili senza cibo e senza acqua, li avrebbero legati e fatti mettere in ginocchio, coprendo loro gli occhi. Oleksii spiega che l’esercito di occupazione torturava la popolazione con l’obiettivo di «ottenere informazioni sulla disposizione dei militari ucraini e delle Forze armate ucraine e della difesa territoriale», minacciando di uccidere i civili e colpendoli con pugni e con il corpo dei fucili.
Alcuni presunti responsabili sono già stati classificati come sospettati, come ad esempio il capitano e il maggiore della 15esima brigata, accusati di comportamento brutale nei confronti di prigionieri di guerra e civili. Così anche un militare della guardia nazionale russa, la Rosgvardiya, accusato di aver ucciso quattro civili, «trovati con le mani legate dietro la schiena e con segni di tortura addosso», spiega Oleksii, raccontando anche un altro episodio che avrebbe visto coinvolto il militare della Rosgvardiya: un uomo sarebbe stato costretto «ad ammettere di aver eseguito azioni contro i russi, per poi colpirlo con il manico del fucile e del coltello». Gli episodi di tortura a suo carico comprenderebbero inoltre l’aver costretto civili «ad annusare il cadavere di una persona sconosciuta» e l’aver simulato un’esecuzione «sparando vicino all’orecchio di un civile disarmato».
Violenza sessuale
Sono in corso poi nove procedimenti per accuse di violenza sessuale a carico di militari russi. Molti episodi di stupro, che «durante una guerra costituisce un crimine di guerra» – spiega il procuratore di Kiev – sono stati denunciati dalle donne ad associazioni specializzate che forniscono aiuto psicologico. Il procuratore capo regionale spiega infatti che gli inquirenti stanno collaborando con queste organizzazioni e con attivisti per i diritti umani perché le vittime non sempre si rivolgono alle forze dell’ordine per denunciare.
In uno dei paesi del distretto di Brovary, nella regione di Kiev, un militare russo in stato di ebbrezza è entrato in casa di civili, uccidendo il marito e, in compagnia di altri colleghi, «ha ripetutamente stuprato la moglie, minacciandola con le armi e dicendole che avrebbe esercitato violenza su sua figlia minorenne», racconta Oleksii. Sono poi emersi altri due stupri di gruppo nel distretto a pochi giorni di distanza. In questi due casi, il procuratore assicura di avere «prove sufficienti» che hanno permesso di ricostruire la dinamica.
i fatti di Bucha
All’inizio di aprile sono state pubblicate foto, che hanno fatto il giro del web, dopo la liberazione della città, che mostravano numerosi cadaveri per strada, fosse comuni, corpi legati, persone uccise con colpi alla testa. Un massacro che tuttora viene negato dal Cremlino, che sostiene che si tratti di una montatura. Ma sono diverse le testimonianze di sopravvissuti che smentiscono la versione del governo russo e che dimostrano che le atrocità commesse dall’esercito di occupazione.
Anche un’inchiesta del New York Times, pubblicata lo scorso 19 maggio, ha dimostrato, attraverso video e il controllo incrociato di immagini, documenti e testimonianze, esecuzioni di persone disarmate da parte di soldati russi.
Oltre agli omicidi e alle torture, l’esercito occupante è accusato di aver derubato la popolazione – impossessandosi sia di effetti personali sia di elettrodomestici – e di aver «attaccato le case dei civili intenzionalmente», spiega il procuratore Oleksii, precisando che la distruzione, solo nella regione di Kiev, di «mille case, 92 istituzioni scolastiche, 13 ospedali, cinque edifici culturali e otto religiosi» viola il diritto internazionale umanitario.
© Riproduzione riservata