Il buio può essere di diverse tonalità, comprese grosso modo tra il vederci appena e il non vederci nulla. Bisogna dire che nella cantina dove si erano riuniti i bambini c’era un buio pesto, un buio integrale, da ascriversi senz’altro alla seconda categoria di tonalità. Si trattava di una cantina cieca, e l’oscurità era fitta e persistente, si spandeva ininterrotta, occupando tutto lo spazio disponibile.

I bambini erano scesi lì perché avevano voglia di spaventarsi. In fondo la festa di Halloween era stata inventata per soddisfare un bisogno di divertimento macabro che per il resto dell’anno sarebbe stato inopportuno manifestare. Proprio in ragione di quella oscurità nera, di quell’impenetrabile assenza di luce, non appena la cigolante porta d’ingresso della cantina si richiuse alle loro spalle ci fu tutto un serpentone di gridolini e risatine.

Il gioco

- Il buio è niente in confronto della luce, - disse il piccolo Edoardo, il padrone di casa, quando la prima ondata d’eccitazione stava cominciando a scemare.

- Che intendi? - gli chiesero.

- Che qui dentro vengono a nascondersi tutti i mostri della casa.

A quelle parole un nuovo fremito percorse il gruppo: era l’ultimo giorno d’ottobre, e ciascuno di quei bambini desiderava uno spavento in piena regola. Essere spaventati era un loro diritto, così come a Natale si desiderava scartare un bel regalo.

Edoardo proseguì: - Ho trafugato dal salotto un candelabro a sei bracci e una scatola di fiammiferi svedesi. Possiamo accendere una candela alla volta e goderci lo spettacolo dei mostri.

Il resto dei bambini non stava più nella pelle. Volevano sapere che tipo di mostri vivessero acquattati in quella stanza degli orrori, e quanti fossero, e che abitudini avessero.

- Se siete così impazienti cominciamo il gioco, - ammonì Edoardo. - Basterà accendere la prima candela per iniziare a intravedere qualcosa.

I fantasmi del soffitto

Si udì sfregare un fiammifero sulla scatola e immediatamente si produsse l’inconfondibile odore di zolfo che fornì alla scena un tocco di diabolicità supplementare. La fiammella compì un breve tragitto nelle ombre e accese la prima delle sei candele. La cantina riverberò di un lucore tenue che rimase sopra il candelabro, come una sfera baluginante sospesa nell’oscurità, un abito iridescente appeso alla gruccia del buio, un’ernia di luce fuoruscita dalla notte. I bambini però erano impazienti di poter dare una forma meno vaga alla loro immaginazione senza freni e pregarono il padrone di casa perché accendesse subito la seconda candela.

- Non si vede ancora niente, questo è il posto più tetro dell’universo! - dicevano.

Edoardo allora estrasse un altro fiammifero dalla scatola e accese lo stoppino della seconda candela, che prontamente, dopo un suggestivo crepitio, dette seguito a una fiamma oblunga. Le due fiamme, a poco a poco, furono in grado di allargare gli orizzonti di una luce pallida. L’estensione era più verticale che orizzontale, tant’è che i bambini cominciarono a proiettare le loro fantasie sul soffitto. Scambiarono volentieri i loro stessi aloni per dei poltergeist o chissà cosa altro, evanescenze fantasmatiche, figure ectoplasmatiche.

- Il soffitto è vivo, - dicevano. - Sembra che ci cada addosso!

Il mobilio della cantina

Il silenziò tornò quando sentirono la capocchia del terzo fiammifero prendere fuoco. L’aria era ormai satura dello zolfo del diavolo, e la luce della terza candela, sebbene ancora sopraffatta dalla tenebra, disvelò al gruppo le sagome della mobilia. C’era tutto quel che doveva esserci in una cantina, la vecchia poltrona sfondata ricoperta dal lenzuolo del fantasma, la credenza dismessa con le regnatele, un pianoforte di cui qualcuno si divertì a pigiare qualche tasto all’impazzata.

- Ma i mostri? I mostri quando arrivano? - chiedevano i bambini al padrone di casa, essendone invidiosi.

Non unicamente per il fatto che a casa sua ci fossero i mostri, ma anche perché lui abitava nella casa più gotica del quartiere, quella meglio decorata, con le lanterne caccia streghe alle finestre e i festoni di carta con le zucche arancioni alla porta; la casa in fondo al viale, con gli aceri che in quei giorni si tingevano dei colori di un carnevale malinconico, e lastricavano la strada di foglie simili a stravaganti farfalle; la casa con il cancello in ferro battuto e il giardino all’inglese, e le camere da letto col baldacchino al primo piano e poi quella cantina lugubre grande abbastanza da contenere tutti i loro più inconfessabili timori.

Animali e volti fantastici

Viste le insistenze, venne accesa la quarta candela, la cui fiamma, andandosi a sommare alle altre, determinò il principio di una piccola brace inquieta, che allargò finalmente i confini della visione fino alle mura scrostate della cantina. Gli occhi dei bambini, esaminando quei perimetri marcescenti, quei battiscopa tarlati, non poterono non popolarli di ogni tipo di animale spaventoso, ratti dalle lunghe code, aracnidi dalle zampe pelose e perfino gatti neri dagli occhi fosforescenti. Era un tripudio da bestiario medievale, in cui le varie specie s’incrociavano tra loro, pesci salamandre e scorpioni alati e serpi cornute.

- Il bello deve ancora venire, - esclamò Edoardo.

- Vuoi dire che esiste qualcosa di più mostruoso di questo? - gli risposero terrorizzati i bambini.

- Lo scopriremo intensificando la luce…

Venne accesa la penultima candela, la quinta, che a poco a poco fu in grado di riverberare i volti degli stessi bambini, i quali si spaventarono molto di quei lineamenti adesso così sinistri, che erano quelli dei loro vicini di casa e compagni di scuola. Venivano fuori dalla foschia di pece in uno scatto, come fossero state teste a molla rinchiuse in una scatola o i soggetti spettrali di fotografie maledette. Più d’uno cacciò un urlo che non era più o non soltanto di divertimento, ma anche di un’angoscia genuina.

- Manca l’ultima candela, quella dei mostri più mostruosi, - dissero, cercando di darsi manforte l’uno con l’altro.

Lo spavento più grande

Ancora un fiammifero venne sfregato e la sesta e ultima candela illuminò, in un’ampia lingua di luce, quel che restava della cantina. Edoardo, insieme a tutti gli altri, come e più degli altri, avrebbe voluto scorgere un ciclope o un licantropo o un vampiro. Avrebbe voluto rabbrividire con un’idea rassicurante, per quanto conturbante, perfetta per la notte di Halloween.

Avrebbe voluto essere respinto e allo stesso tempo attratto da una visione terrificante che conosceva, una delle tante che aveva letto nei libri o visto nei fumetti. Invece distinse la mano della bambina che gli piaceva stringere la mano di un altro bambino. Si tenevano così, le dita intrecciate, un po’ per farsi coraggio, un po’ per esprimere qualcosa che non poteva ancora essere pienamente espresso.

Allora Edoardo in un impeto afferrò il candelabro a sei bracci, le fiamme oscillarono e la cera cadde sul pavimento. Prese tutta per sé la poca aria rimasta nella cantina e con un soffio deciso spense di colpo tutte e sei le candele.

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