Durante l’attacco iraniano di aprile, gli stati arabi hanno collaborato con gli Stati Uniti nel fornire informazioni di intelligence e militari. Oggi sarà ancora così?
Quando lo scorso 13 aprile l’Iran ha lanciato contro Israele circa 300 droni e missili di vario tipo, Tel Aviv era riuscita a intercettarli quasi tutti. Quell’attacco era la rappresaglia militare per il raid israeliano agli uffici diplomatici iraniani di Damasco, una risposta che è stata più un bluff che un all-in contro Israele e che stuzzicava la propaganda interna dei Pasdaran. I danni furono minimi, grazie al sostegno militare di Stati Uniti, Francia, Regno Unito e diversi stati arabi della regione.
Fu la prima volta che entrò in gioco la Middle East Air Defense Alliance, meglio conosciuta come Mead, un’alleanza di difesa aerea formalizzata dopo gli accordi di Abramo tra Israele e i paesi arabi della regione per contrastare il programma missilistico balistico iraniano, considerato una minaccia per tutti.
Quella convergenza di intenti è stata frutto di un intenso lavoro diplomatico da parte di alti funzionari della leadership politica e militare di Tel Aviv, tra cui l’allora ministro della Difesa Benny Gantz che ad aprile era ancora un membro del gabinetto di guerra israeliano prima di rassegnare le sue dimissioni a giugno.
Durante l’attacco iraniano di aprile, gli stati arabi hanno collaborato con gli Stati Uniti nel fornire informazioni di intelligence giorni prima dell’attacco e hanno comunicato informazioni militari raccolte dai loro radar nella regione. Tanto che al Wall Street Journal un funzionario israeliano dichiarò: «È stata la prima volta che abbiamo visto l’alleanza lavorare alla sua massima potenza». Ma oggi sarà ancora così?
Gli scenari attuali
L’uccisione di Ismail Haniyeh a Teheran è stato un affronto anche nei confronti dei paesi che negli ultimi dieci mesi si sono impegnati nelle trattative, soprattutto Egitto, Qatar e Stati Uniti. Ismail Haniyeh era l’esponente di Hamas più coinvolto nei negoziati e non è un caso se il premier e ministro degli Esteri del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim Al Thani è stato tra i leader arabi che hanno condannato più duramente l’attentato: «Come può avere successo la mediazione quando una parte uccide il negoziatore dall’altra parte?»
L’impressione è che questa volta Israele non può contare sull’aiuto di tutti i paesi arabi della Mead, o almeno non nella stessa misura dello scorso aprile. Cosa farà il Qatar dopo aver ospitato sul suo territorio il funerale e il corpo di Haniyeh (sotterrato a Doha)?
Difficile da prevedere, al momento i funzionari egiziani hanno informato la delegazione israeliana presente al Cairo che non hanno intenzione di intervenire in sostegno di Israele.
La Giordania, tra i paesi più attivi nella Mead, ha invece mandato come emissario a Teheran il suo ministro degli Esteri che ha incontrato il suo omologo Bagheri. Si tratta della prima visita in vent’anni di un ministro degli Esteri giordano dai Pasdaran. Amman ha detto che non vuole la guerra e sta portando avanti un’intensa attività diplomatica. Ma la visita a Teheran potrebbe essere un segnale negativo per Israele.
Resta da capire cosa farà l’Arabia Saudita, che per anni ha combattuto in Yemen contro l’Iran facendo la guerra agli Houthi, e che prima del 7 ottobre aveva quasi formalizzato l’accordo di normalizzazione con Tel Aviv. La decisione per i paesi non è facile da prendere, anche perché c’è da considerare il sentimento popolare.
Se l’altra volta i paesi arabi avevano difeso Israele da un attacco nato per la morte di 16 pasdaran attivi in Siria, questa volta il premier Benjamin Netanyahu ha alzato il livello di scontro. Haniyeh era una figura che agli occhi del popolo arabo godeva di consenso, in quanto volto della causa palestinese. Anche per questo secondo l’emittente israeliana Kan è in corso «un intenso lavoro» diplomatico per far attivare la Mead, «tutti hanno interesse a che l’incidente non si trasformi in una guerra regionale». Ma l’uccisione di Haniyeh non è stato un incidente.
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