Per rimpolpare le fila dell’esercito, l’Ucraina punta sull’amnistia per i detenuti che si arruolano. E su una legione speciale, creata in accordo con la Polonia, a cui possono unirsi gli espatriati
Varcando i confini dell’Ucraina ci si trova, di colpo, immersi in uno sventolare di bandiere gialle e blu, mentre per le strade, sui muri dei palazzi e alle fermate degli autobus cartelloni e poster rilanciano un unico, grande messaggio: arruolarsi nell’esercito. I toni utilizzati rimandano alla sfera eroica, quasi mistica.
La narrazione è quella di eroi giovanissimi caduti per mano di un nemico che non è degno neppure di essere chiamato col proprio nome, Russia. Specificazione superflua o rito apotropaico, poco importa. Ciò che conta, per Kiev, è che l’esercito appare sempre più provato da una guerra che sta logorando lentamente, missile dopo missile, ogni angolo di un paese vastissimo chiamato a sacrificare da est a ovest ogni briciolo di normalità.
La grande fuga
«L’Ucraina è stanca di vedere i propri figli morire al fronte». Daryna vive a Leopoli, a un migliaio di chilometri dal Donbass e dal Kursk, le regioni al centro dei combattimenti. Fin dai primi mesi dell’invasione su larga scala presta supporto come volontaria ai tanti rifugiati interni provenienti dalle aree più a rischio e dai territori occupati. «Ogni giorno assistiamo a un via vai di militari», racconta Daryna. «Quelli giovani che partono in silenzio, con zaini enormi sulle spalle, e quelli che invece rientrano dal fronte, quasi sempre feriti. Ma ne abbiamo visti tanti arrivare ormai privi di vita, per l’ultimo saluto».
Per gli uomini e i ragazzi in età di leva la frontiera ucraina è un limite invalicabile, a meno di non voler infrangere la legge marziale che vieta l’espatrio a tutti i cittadini maschi arruolabili. Eppure, secondo le ultime stime, sarebbero almeno 650mila gli ucraini fuggiti in Europa dall’inizio dell’invasione russa. Sono renitenti, per l’esercito. E sono traditori, per il sentire comune di un popolo che da più di novecento giorni vive l’incubo costante delle sirene e dei droni kamikaze. Le migliaia di volontari che correvano ad arruolarsi nelle prime settimane di guerra non sono che un lontano ricordo per Kiev, costretta oggi a far fronte a una grave carenza di reclute e a condizioni di vita ai limiti del sostenibile, specie nelle aree più esposte.
Legione Ucraina
In estate l’Ucraina ha adottato diverse strategie per cercare di colmare questo gap, su tutte l’accordo con la Polonia per la creazione della prima legione dedicata al reclutamento di nuovi volontari in terra straniera. Il progetto guarda innanzitutto agli ucraini che sono riusciti a lasciare il paese eludendo così la leva obbligatoria, ma anche a chi si è trasferito lì da tempo. «La Legione Ucraina verrà addestrata in Polonia e potrà contare su un equipaggiamento fornito dai nostri partner», aveva detto Volodymir Zelensky in occasione della firma di un bilaterale sulla sicurezza con il primo ministro polacco Donald Tusk. Raccogliendo testimonianze in varie città, da Kiev a Zaporizhzhya, l’idea di (ri)chiamare alle armi coloro che, per varie ragioni, si trovano fuori dai confini nazionali appare come un grande castello di carte a cui mancano solide fondamenta.
«Non conosco nessuno che ha scelto di lasciare il paese e che ora decide di tornare, volontariamente, col rischio di morire», confida un ex militare in congedo originario della capitale. Un’idea diffusa, assicura, che contrasta con quanto dichiarato dall’emittente radiofonica polacca Rmf24, che citando fonti diplomatiche ucraine preannunciava invece migliaia di espatriati già pronti ad arruolarsi.
Il rimpatrio
Oltre al reclutamento volontario, l’Ucraina ha tentato anche la strada del rimpatrio coatto dei concittadini fuggiti all’estero, riscontrando però in questo caso l’opposizione ferrea da parte della Polonia e, soprattutto, della Moldavia. Secondo i dati forniti dalla polizia di frontiera, da febbraio 2022 quasi 70mila ucraini hanno chiesto asilo o protezione temporanea, ma sono tantissimi anche quelli entrati attraverso reti criminali specializzate nel business dell’immigrazione clandestina, per poi sparire nel nulla o riparare verso altre destinazioni.
La richiesta è stata prontamente rispedita al mittente da Chișinău, adducendo come motivazione il rispetto delle norme europee che tutelano l’incolumità dei rifugiati e di chi proviene da una nazione in guerra. Dall’inizio della guerra quasi 1.700 ucraini hanno ricevuto la cittadinanza moldava, a fronte dei quasi 2.600 richiedenti: rispedirli indietro significherebbe non solo violare il diritto comunitario in termini di protezione umanitaria, ma esporre queste persone ai rischi legati all’attuazione della legge marziale attualmente in vigore, severissima in casi di renitenza e diserzione.
Una divisa per la libertà
Kiev ha dalla sua parte un ultimo asso nella manica, la nuova legge che concede l’amnistia in cambio del servizio militare. Uno “svuota-carceri” finalizzato a rimpolpare le esili fila dell’esercito ucraino, puntando sul desiderio di rivalsa di migliaia di detenuti che hanno colto al balzo l’appello lanciato dal governo. In prima battuta sono state circa tremila le domande arrivate all’ufficio del procuratore generale, ma secondo le stime del ministero della Giustizia questa modalità di reclutamento potrebbe generare fino a 20mila nuovi soldati. La legge, che non si applica ai condannati per crimini gravi, dall’omicidio plurimo fino ai reati di natura sessuale, garantisce l’estinzione della pena residua a chiunque decida di arruolarsi, a patto di continuare a prestare servizio fino al termine della guerra. Una volta che il conflitto sarà concluso, gli ex detenuti potranno godere della libertà vigilata a condizione, naturalmente, di tornare indenni da un campo in cui la battaglia imperversa da oltre trenta mesi. Per le nuove reclute che lasciano il carcere per la trincea, il sogno è di riuscire a imprimere un cambio di rotta positivo nella loro vita e ripartire. Per l’Ucraina, la speranza di poter infondere almeno in questo modo nuova linfa a un esercito stremato da due anni e mezzo di combattimenti, assalti, dietrofront e il rischio costante di diventare bersaglio dei droni e dei missili di un nemico senza nome, ma che continua a fare paura.
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