Ismail Haniyeh vedeva all’orizzonte la cittadina israeliana di Ashkelon, vicino a dove sorgeva il villaggio Al-Joura da cui nel 1948 i suoi genitori erano fuggiti. Non era l’unico leader di Hamas proveniente da questa zona. Yahya Sinwar, il ricercato numero uno di Israele dopo il 7 ottobre, è originario di al-Majdal, proprio l’odierna Ashkelon, e lo stesso Sheikh Yassin, il fondatore del movimento islamista, era nato nel 1936 nel villaggio di Al-Jura, vicino le rovine della vecchia Ascalona.

Proprio il rapporto stretto con Yassin avrebbe trasformato il bambino profugo della Striscia, noto come “Abu Al Abd”, nel leader in giacca e cravatta che cercava di proiettare un’immagine rispettabile di Hamas in tutto il mondo arabo-musulmano dalla sua base a Doha, in Qatar.

Fino a che ieri un missile teleguidato israeliano lo ha eliminato nel cuore della notte a Teheran. Il giorno prima Haniyeh aveva partecipato all’insediamento del nuovo presidente iraniano, Masoud Pezeshkian, e aveva incontrato la guida suprema Ali Khamenei.

La distanza da Gaza

Durante una visita a Istanbul all’inizio dell’anno, Haniyeh aveva confidato a rappresentanti governativi turchi di non essere stato al corrente dell’attacco del 7 ottobre, e di essere stato colto di sorpresa. Indiscrezioni simili sono apparse anche sui media.

È difficile pensare che Hamas potesse intraprendere un passo così significativo senza il benestare del suo leader politico. Ma questa voce è comunque emblematica della distanza che si era iniziata a creare, a partire dall’espatrio del 2017, fra lui e i leader locali di Gaza. Nessuno sa realmente quanto, durante la guerra, Sinwar e Mohammed Deif, il capo del braccio armato dell’organizzazione Al-Qassam, agissero in autonomia, ma di sicuro Haniyeh non prendeva decisioni di tipo militare.

Anche dal punto di vista ideologico Haniyeh era considerato più moderato. Manteneva un approccio pragmatico rispetto alle trattative sugli ostaggi, nelle quali giocava un ruolo più attivo: avrebbe potuto influenzare nella direzione del compromesso la leadership di Gaza. Il primo ministro del Qatar, Mohammed Al Thani, a questo proposito ha twittato: «Come può avere successo una mediazione se una delle due parti assassina il negoziatore del campo opposto?» A novembre Haniyeh si era perfino dichiarato aperto a una trattativa sulla base di una soluzione a due stati. La sua stagione all’estero non ha però aiutato la sua popolarità fra i palestinesi, complice il suo stile di vita lussuoso e le voci secondo cui avrebbe accumulato un ingente patrimonio approfittando del suo ruolo politico.

Le prigioni israeliane

Nato nel 1963, Haniyeh era un giovane adulto quando nel 1987, a poca distanza da casa sua ad Al-Shati, nel campo di Jabalia, un veicolo dell’esercito israeliano aveva provocato un incidente automobilistico in cui erano morti quattro lavoratori palestinesi. Era la scintilla che avrebbe provocato la prima intifada.

In quello stesso anno, lontano dai riflettori, a Gaza era nato il movimento di resistenza islamico Hamas, la cui carta fondativa conteneva riferimenti esplicitamente antisemiti. In questo periodo, durante un incontro con la giornalista israeliana Amira Hass, Haniyeh aveva liquidato i passaggi contro gli ebrei come un errore di ingenuità, compiuto da un movimento oppresso sotto il torchio dell’occupazione.

Già attivo nei movimenti politici negli anni di studio all’università Islamica di Gaza, Haniyeh non poteva sfuggire alla reclusione nelle prigioni israeliane durante la rivolta ed è stato più volte arrestato.

In occasione del suo rilascio, nel 1992, è stato espulso alla volta del Libano, ma ha fatto ben presto ritorno a Gaza. Dal 1997 è stato braccio destro di Yassin, fin quando il padre fondatore del movimento è stato eliminato in un attacco mirato israeliano nel 2004.

Dopo il ritiro israeliano da Gaza e le elezioni palestinesi del 2006, Haniyeh si è ritrovato a gestire una vittoria elettorale inaspettata di Hamas. Il trionfo, però, si è ben presto tradotto in un blocco economico e militare da parte di Israele ed Egitto e in una faida con Abu Mazen e il suo movimento Fatah, che l’anno successivo è stato violentemente estromesso dalla Striscia. Da quel momento Haniyeh è diventato il capo del governo di fatto a Gaza.

Nuovi leader di Hamas

Dopo che per due decenni era stato capo dell’ufficio politico di Hamas, nel 2017 Khaled Mashaal ha lasciato la posizione ad Haniyeh, che ha lasciato Gaza. Ora Mashaal potrebbe tornare al suo posto. Né lui né Abu Marzouq, un altro possibile candidato, sono però originari di Gaza, un fatto che potrebbe pesare vista l’importanza della Striscia per il movimento in questa fase storica.

Israele ha già assassinato Marwan Issa, capo delle Brigate Al-Qassam a Gaza, e il 13 luglio scorso, a Khan Yunis, un attacco violentissimo ha preso di mira Mohammed Deif, il capo supremo del braccio armato.

Hamas non ha confermato che sia stato ucciso. Questa decapitazione dei vertici potrebbe aprire la strada a Mohammed Sinwar, il fratello del leader locale di Hamas, Yahya Sinwar, già noto per essere l’architetto dell’infrastruttura di tunnel nella Striscia.

In gennaio Israele aveva ucciso in un attacco a Beirut Saleh al-Arouri, considerato vice di Haniyeh oltre che capo delle attività militari del gruppo nella West Bank. Ma il vero trofeo che potrebbe fornire a Benjamin Netanyahu un’opportunità per cantare vittoria e mettere fine alla guerra rimane Sinwar, di cui qualche mese fa è emersa un’immagine in ciabatte proprio nei tunnel. Ammesso e non concesso che da parte di Bibi ce ne sia la volontà politica.

La famiglia israeliana

Ad aggiungere un ulteriore strato di complessità alla storia di Haniyeh c’è il fatto che tre sue sorelle sono israeliane. Come è possibile? Serve ricordare che per oltre vent’anni e più, dall’inizio dell’occupazione israeliana di Gaza nel 1967, i palestinesi e gli israeliani della zona frontaliera godevano di una libertà di movimento pressoché totale. Non c’era cioè la separazione fra le popolazioni che esiste oggi.

Ecco allora che le tre sorelle si erano sposate a Tel Sheva, nel sud di Israele, con tre israeliani di etnia beduina. Secondo le leggi più permissive dell’epoca, tanto bastava perché acquisissero a loro volta la cittadinanza israeliana.

Secondo un articolo del 2006 di quotidiano inglese Telegraph, alcuni loro figli avrebbero anche servito nell’Idf. E ancora, nei primi anni ‘80, lo stesso Haniyeh andava a rendere visita alle sorelle.

Nel 2023, invece, nel pieno della guerra, a visitare i suoi familiari sono state le forze di sicurezza israeliane. Alcuni di loro sono stati messi in stato di arresto salvo poi essere rilasciati quasi subito, vista l’assenza di ragioni reali per il fermo al di là della parentela sospetta. Chissà se in privato staranno piangendo il fratello, che la vita ha portato così lontano.

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